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Lo zinco è l’elemento chimico di numero atomico 30. Il suo simbolo è Zn ed è un elemento essenziale per la vita degli esseri umani e degli animali superiori: una carenza di zinco condiziona pesantemente la crescita corporea e l’aumento di peso. Lo zinco costituisce parti di proteine con dita di zinco e di enzimi ad azione antiossidante come la superossido dismutasi, oppure con funzioni catalitiche come la carbonico anidrasi, la alcool deidrogenasi, e la lattico deidrogenasi. Secondo alcune fonti, assumere pastiglie di zinco può dare una certa immunità dal raffreddore e dall’influenza ma l’esattezza di queste informazioni è controversa. Lo zinco è inoltre implicato nel funzionamento della vista, dell’olfatto, del tatto e della memoria, ed è responsabile del buon funzionamento di questi, e una carenza di zinco ne causa disfunzioni.
Nei maschi, lo zinco è un elemento importante per la produzione di sperma: in una sola eiaculazione si possono perdere fino a 5 mg di zinco. Una carenza di zinco può provocare una diminuzione nel numero degli spermatozoi nel seme, e viceversa, delle eiaculazioni molto frequenti possono provocare una carenza di zinco. Scarse riserve di zinco sono responsabili della diminuzione del volume di sperma e del livello di testosterone.
Lo zinco ricopre infatti un ruolo fondamentale nella regolazione della produzione del testosterone ed è infatti da alcuni considerato un “testosterone booster” in quanto una sua carenza potrebbe limitare la produzione di questo ultimo ormone in maniera decisiva. Lo zinco si presenta, a temperatura ambiente, allo stato solido ed è contenuto in minerali quali blenda, smithsonite, calamina, sfalerite e franklinite.
Livelli adeguati di Zinco influiscono direttamente sulle prestazioni atletiche e lo sviluppo della forza, perché svolge un ruolo primario nella produzione di ormoni anabolizzanti. La ricerca dimostra che con ampia disponibilità di zinco nel corpo, c’è un rilascio più efficace dei tre più importanti ormoni anabolizzanti, testosterone, ormone della crescita e insulina-like growth factor-1 (IGF-1). Uno studio recente della rivista “Biological Trace Element Research” mette in evidenza l’impulso che l’aumento dei livelli di zinco può dare alla produzione di testosterone dopo l’attività fisica. I ricercatori hanno scoperto che la somministrazione, in atleti allenati, di un supplemento di zinco per quattro settimane prima di eseguire un test esaustivo, ha portato ad una maggiore risposta post-allenamento di testosterone rispetto al campione placebo. L’assunzione di zinco produce livelli di testosterone più elevati in atleti che assumono un supplemento di selenio (un potente antiossidante che riduce al minimo lo stress ossidativo nel testicolo). I ricercatori hanno notato che lo zinco aumenta il tasso di conversione di androstenedione in testosterone e che, associato ad un’alta intensità di esercizio, permette al corpo di produrre testosterone a un ritmo ancora più elevato.
Supporto della funzionalità riproduttiva maschile e la fertilità
Lo zinco è un minerale fondamentale per i livelli di testosterone forti; le cellule della prostata maschile richiedono una concentrazione molto elevata di zinco per funzionare in modo ottimale. Zinco basso altera la produzione di testosterone negli uomini e li mette a rischio di sviluppare il cancro alla prostata, e causa infertilità. Inadeguati livelli di zinco sono stati anche correlati a libido bassa. Uno studio clinico che ha coinvolto 88 uomini di età compresa tra 40 a 60 anni ha dimostrato che le persone con livelli di testosterone normali avevano un livello di zinco significativamente più alto rispetto a quelli con bassi livelli di testosterone. Zinco basso era direttamente correlato con bassi livelli di testosterone, il che mette gli uomini a maggior rischio di sintomi della menopausa maschile. Negli uomini, lo zinco è un elemento importante per la produzione di sperma: una carenza di zinco può provocare una diminuzione nel numero degli spermatozoi nel seme.
Supporto della funzionalità riproduttiva femminile e alla fertilità
Nelle donne lo zinco è coinvolto nel processo di crescita dell’ovocita. Se le donne sono carenti di zinco, l’uovo non maturerà correttamente e l’ovulazione sarà ostacolata, provocando sterilità. Un livello adeguato di Zinco permette alle donne di utilizzare adeguatamente ed efficacemente gli estrogeni ed il progesterone (ormoni) presenti nell’organismo. Quando i livelli di estrogeni diventano troppo alti o sono metabolizzati inefficientemente infatti, possono essere causare di una scarsa salute riproduttiva.
Lo zinco è pertanto fondamentale tanto per l’uomo quanto per la donna poiché è uno di quei complessi enzimatici necessari per il corretto funzionamento di ormoni, insulina, ormoni sessuali e ormone della crescita. Nell’organismo solitamente sono presenti dagli 1,4 ai 2,5 grammi di zinco, contenuti per lo più nei globuli rossi e bianchi e nei muscoli. Nel plasma è presente sotto forma di aggregati con varie proteine e amminoacidi. Lo zinco si trova in diverse fonti alimentari: nel pesce, nella carne rossa, nei cereali, nei legumi, nella frutta secca e semi, come semi di girasole e semi di zucca. Alte percentuali di zinco sono contenute nelle ostriche, nel lievito, nel latte, nei funghi, nel cacao, nelle noci, nel tuorlo d’uovo. Frutta, verdura e i cereali contengono fitati e fibra che ne riducono l’assorbimento.
LETTERATURA SCIENTIFICA DI RIFERIMENTO
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Funzionalità della prostata e funzionalità delle vie urinarie
Ministero della Salute (decreto 9 luglio 2012, aggiornato con decreto 27 Marzo 2014)
La Serenoa repens (sinonimo di Sabal serrulata) è una pianta diffusa negli Stati Uniti, nel Sud-Europa e nel Nord-Africa. È una piccola palma con foglie costituite da oltre 20 segmenti. È considerata una pianta abbastanza sicura con pochi e rari effetti collaterali (1, 2). Studi in vitro e sugli animali hanno dimostrato che questa pianta svolge una potente azione antiandrogenica, principalmente grazie alla sua componente fitosterolica e alla presenza di acidi grassi. L’estratto lipofilico (85-95 % di acidi grassi e steroli) delle bacche di Serenoa repens è utilizzato come coadiuvante nel trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna allo stadio I e II e dei sintomi ad essa associati (3). I dati di una metanalisi dei risultati dei trials clinici effettuati per verificare l’efficacia della Serenoa repens nel trattamento della ipertrofia prostatica benigna dimostrano che esiste un effettivo miglioramento della pollachiuria e della nicturia nei pazienti che la assumono rispetto ai gruppi di pazienti trattati con placebo (4). Sono state dimostrate diverse attività farmacologiche che possono ricondurre al complesso meccanismo di azione della Serenoa repens: inibizione dell’attività dell’enzima 5-alfa-reduttasi (5), antagonismo nei confronti del recettore alfa-1-adrenergico (6), blocco dei recettori intraprostatici per gli androgeni (interferisce con il legame del diidrotestosterone con il recettore citosolico).
La Serenoa repens contiene composti ad attività anti-androgenica che sono presenti nella componente lipofila della droga: le sostanze considerate farmacologicamente attive sono i fitosteroli e gli acidi grassi.
IMPORTANTE: PER LA SUA EFFICACIA UTILIZZARE ESTRATTI AD ALTA TITOLAZIONE
L’attività antiproliferativa della Serenoa potrebbe essere dovuta ad un’induzione dell’apoptosi: da studi condotti in vitro si è scoperto che la Serenoa inibisce l’enzima 5-riduttasi, con conseguente blocco della conversione di testosterone in DHT (principale fattore responsabile della crescita della prostata). Oltre ciò altri possibili meccanismi che possono essere in grado di spiegare l’efficacia terapeutica della Serenoa sono i suoi possibili effetti antinfiammatori (attraverso l’inibizione degli enzimi ciclossigenasi e 5-lipossigenasi nonché del TNF-e dell’interleuchina-1) e l’attività spasmolitica sui muscoli delle vie urinarie, che si esercita bloccando i canali del calcio e svolgendo un’azione antagonistica sui recettori-adrenergici.
La Commissione tedesca riporta che la Serenoa può essere in grado di risolvere i problemi urinari associati agli stadi I e II della IPB. Gli Autori di una recente revisione sistematica (Wilt e coll. 2002 Cochrane Database Syst Rev 3:CD001423) hanno analizzato 21 studi clinici randomizzati controllati (di cui 18 in doppio cieco), per un totale di 3139 soggetti affetti da IPB. I pazienti in quasi tutti i casi hanno assunto per os un dosaggio giornaliero di 320 mg di un estratto liposterolico per un periodo compreso tra le 4 e le 48 settimane. Dall’analisi degli studi clinici, gli Autori hanno tratto le seguenti conclusioni: 1) la Serenoa è superiore al placebo 2) la Serenoa è efficace quanto la Finasteride nel ridurre la sintomatologia tipica dell’Ipertrofia Prostatica Benigna (riduzione della necessità di alzarsi più volte durante il riposo notturno per lo stimolo minzionale “nicturia”, riduzione dell’urina residua e aumento del flusso urinario). È importante sottolineare che la Serenoa risolve la sintomatologia, senza causare diminuzione nelle dimensioni della prostata.
MECCANISMO D’AZIONE SULLA PROSTATA
Numerosi esperimenti in vivo ed in vitro hanno dimostrato che la Serenoa repens è in grado di agire a 3 livelli contemporaneamente:
1. Attraverso l’inibizione dell’enzima responsabile della conversione del colesterolo in Diidrocolesterolo, impedisce che tale conversione avvenga;
2. Ostacola il legame tra questa molecola e il suo recettore;
3. Blocca la riduzione del diidrocolesterolo a un metabolita implicato nell’ipertrofia prostatica.
Il meccanismo d’azione anti-androgenico si esplica soprattutto per inibizione dell’enzima 5-alfa-reduttasi, che catalizza la trasformazione del testosterone a diidrotestosterone. Questo effetto antiandrogenico avviene selettivamente nel tessuto prostatico, senza influenzare le concentrazioni di testosterone, LH ed FSH nel plasma e senza disturbare il sistema degli ormoni sessuali. L’estratto lipido sterolico della Serenoa repens, grazie alla sua composizione e contenuto in acidi grassi tra cui l’acido laurico, l’acido miristico e uno sterolo vegetale chiamato beta sitosterolo, possiede un’importante azione antiandrogena selettiva che si esplica principalmente attraverso l’inibizione, di entrambe le isoforme I e II, della 5-alfa reduttasi (5AR) enzima chiave nel processo di trasformazione del testosterone in diidrotestosterone (DHT).
Il diidrotestosterone è l’ormone principalmente responsabile dell’accrescimento della prostata e della comparsa dell’alopecia androgenetica maschile.
Evidenze scientifiche hanno rivelato che l’acido laurico e l’acido miristico, sono anche in grado di interagire direttamente con il testosterone formando degli esteri di questo ormone che così non è più convertibile in DHT. Studi su modelli animali hanno invece evidenziato che il beta-sitosterolo limita la biodisponibilità del colesterolo e quindi la sintesi del testosterone, substrato della 5-alfa reduttasi, nella prostata e nel follicolo capillare. Numerosi studi clinici hanno poi confermato l’efficacia di questo sterolo vegetale nel migliorare il benessere di prostata e capelli nell’uomo. Infine, ulteriori studi hanno evidenziato che l’estratto di Serenoa repens possiede un’azione inibitoria nei confronti di fattori di crescita responsabili della proliferazione cellulare e del processo infiammatorio alla base dell’ipertrofia prostatica benigna e dell’alopecia androgenetica maschile.<7p>
Uno studio in vitro ha valutato la produzione ormonale di cellule epiteliali e di fibroblasti prelevati da tessuti umani prostatici in ipertrofia benigna o in degenerazione carcinomatosa. Si è visto che in entrambe le linee cellulari vi era una massiccia produzione di androstenedione (80% del totale) ma una bassa sintesi di diidrotestosterone (dal 5 al 10% del totale). La finasteride era in grado di inibire, nelle cellule suddette, la produzione di diidrotestosterone ma influenzava poco quella di androstenedione, mentre l’estratto di Serenoa agiva inibendo la produzione di entrambi questi ormoni. Si è anche visto che l’estratto di serenoa è in grado di inibire, in vitro, gli effetti della prolattina sulla conduttanza del potassio, sulla protein chinasi C e sulle concentrazioni intracellulari di Ca+ in cellule ovariche di hamster. Ciò potrebbe significare che questa droga sarebbe capace di inibire la proliferazione del tessuto prostatico indotta dalla prolattina. Un gruppo di ratti veniva reso iperprolattinemico tramite la somministrazione di sulpiride per 30 giorni, e questo aumentava il volume e il peso della ghiandola prostatica, con ipertrofia soprattutto nel lobo laterale. La somministrazione di finasteride era incapace di opporsi agli effetti della prolattina sulla prostata, mentre l’estratto lipido sterolico di serenoa limitava significativamente l’effetto trofico dell’ormone suddetto sul tessuto prostatico. Inoltre l’estratto di serenoa riduce in modo statisticamente significativo i livelli dell’Epidermal growth factor (EGF) nel tessuto prostatico di pazienti portatori di iperplasia prostatica benigna. Ciò indica che l’estratto di Serenoa può inibire la crescita delle cellule prostatiche epiteliali indotta da fattori di crescita. Una meta-analisi di 18 studi, che comprendeva 2900 pazienti che avevano assunto Serenoa, anche in formulazione, ha mostrato un significativo miglioramento nel punteggio dei sintomi, nel picco del tasso del flusso e della nicturia, rispetto ai soggetti placebo. La somministrazione di Serenoa (160 mg/die di estratto per 1-3 mesi) ha prodotto miglioramenti in sintomi quali disuria, frequenza e nocturia, riducendo i punteggi dei sintomi urinari e aumentando il flusso urinario. L’estratto di Serenoa, inoltre, non influenzando il volume prostatico e/o i livelli di PSA, un marker del tumore della prostata, sembra escludere il rischio di mascheramento dei tumori.
I risultati ottenuti con trattamenti a base di Serenoa si paragonano favorevolmente con quelli ottenuti con le terapie convenzionali, con scarsi effetti collaterali (Wilt T, et al. 2002).
STUDI CLINICI
Uno studio clinico randomizzato ha valutato l’efficacia dell’estratto di Serenoa nell’Ipertrofia Prostatica. Sono stati infatti arruolati 50 pazienti affetti da ipertrofia prostatica benigna (IPB), con un punteggio di almeno 10 p. ti all’International prostate symptom (IPSS), che ricevevano per os 320 mg/die di estratto di Serenoa o un placebo per 6 mesi. La valutazione dei risultati è stata fatta misurando il flusso urinario massimo, il residuo vescicale postminzionale e il PSA pre e post terapia. Al termine dello studio i pazienti del gruppo Serenoa avevano un calo del punteggio IPSS da 19,5 a 12,5 (p<0,001). Nel 30% dei pazienti del gruppo Serenoa dopo 3 mesi e nel 46% di essi dopo 6 mesi, si è potuto rilevare un miglioramento nei sintomi propri della patologia, pari o superiore al 50% mentre non si notavano modificazioni statisticamente significative nel flusso urinario massimo, nel residuo vescicale postminzionale e nel PSA. Non sono stati registrati rilevanti effetti collaterali. (Gerber G.S. Saw palmetto for the treatment of men with lower urinary tract symptoms. J. Urol. 163, 1408-1412, 2000).
Un ulteriore studio clinico controllato ha valutato l’effetto della Serenoa in pazienti affetti da ipertrofia prostatica benigna (IPB). Sono stati arruolati 155 pazienti a cui sono stati somministrati per os 160 mg due volte al giorno (320 mg/die) di estratto lipido sterolico di serenoa per 24 mesi, valutando: punteggio dell’International prostate symptom score (IPSS), qualità di vita e funzionalità sessuale dei partecipanti a distanza di 6, 12, 18 e 24 mesi Gli eventuali eventi avversi erano registrati ogni 3 mesi. Ad ogni singolo step di valutazione e al termine della sperimentazione è stato riscontrato un miglioramento statisticamente significativo dell’IPSS, della qualità di vita, del flusso urinario massimo e del volume della prostata. L’attività sessuale dei pazienti è restata immodificata. Non sono state registrate alterazioni sensibili del PSA e degli ormoni sessuali maschili. Dei 155 pazienti arruolati, solo 10 hanno avuto lievi effetti avversi, consistenti in moderati disturbi gastrointestinali. I dati di questo studio dimostrano l’efficacia e la tollerabilità dell’estratto lipido sterolico di Serenoa a lungo termine (Pytel Y.A. et al. Long-term clinical and biologic effects of the lipidosterolic extract of Serenoa repens in patients with symptomatic benign prostatic hyperplasia. Adv Ther 19(6):297-306, 2002.)
Serenoa Repens versus farmaci antiprostatici
Metanalisi
Da una metanalisi clinica (Wilt T. et al. Serenoa repens for benign prostatic hyperplasia. Cochrane Database Syst Rev (3):CD001423, 2002 che ha analizzato un totale di 21 studi clinici controllati, che hanno coinvolto in tutto 3139 pazienti e la cui durata andava da un minimo di 1 mese ad un massimo di 1 anno, gli Autori hanno potuto trarre le seguenti conclusioni:
Gli Autori che hanno condotto tale metanalisi, hanno quindi potuto concludere che l’efficacia clinica dell’estratto lipido sterolico di serenoa è simile a quella della Fnasteride, con una tollerabilità leggermente migliore rispetto alla Finasteride stessa.
Data la mancanza di studi al riguardo, l’assunzione della Serenoa repens per usi diversi dal trattamento della ipertrofia prostatica benigna dovrebbe essere sconsigliato nelle donne in gravidanza, in quelle che allattano o che intendono concepire
Articolo in Italiano 2010 Jan-Mar;77(1):43-51.
Associazione Serenoa Repens, Urtica Dioica e Pinus Pinaster nel trattamento delle infiammazioni del basso tratto urinario
Pavone C1, Abbadessa D, Tarantino ML, Oxenius I, Laganà A, Lupo A, Rinella M.
INTRODUZIONE:
La Serenoa repens (saw palmetto) è stata impiegata per il trattamento dei sintomi del basso tratto urinario (LUTS) per diversi anni. Il suo meccanismo d’azione si ritiene sia dovuto alle sue proprietà antiandrogene, antiproliferative e antinfiammatorie. In questi ultimi anni è stata proposta l’associazione di Serenoa Repens, Urtica dioica (che mostrato avere attività antiproliferativa) ed il Pinus pinaster (che ha mostrando attività antinfiammatoria. Tale azione si auspica possa esser utile non solo riducendo le LUTS ma anche impedendo lo sviluppo del cancro alla prostata.
MATERIALI E METODI:
Nel corso degli anni 2007 e 2008, 320 pazienti affetti da LUTS sono stati trattati con una associazione di Serenoa repens 320 mg, 120 mg Urtica dioica e Pinus pinaster 5 mg, di nome IPB-TRE. Questo trattamento è stato somministrato a tutti i pazienti per una durata minima di 30 giorni ad un massimo di un anno, da solo o in associazione con antibiotici o alfa-bloccanti, se necessario. L’Analisi Esito si è basata su una valutazione dei sintomi, il volume della prostata e portata massima (Qmax).
RISULTATI:
Da un’attenta analisi dei dati raccolti nel nostro database, le seguenti osservazioni sono state effettuate le seguenti osservazioni: età varia tra i 19 e 78 anni. I pazienti erano affetti da BPH nel 46% dei casi, da prostatite cronica nel 43%, dolore pelvico cronico-genitale nel 7% e altre condizioni a 4%, il numero totale di pazienti arruolati è stato rispettivamente di 147, 138, 22 e 7. Nessun effetto collaterale indesiderato è stato riportato in alcun caso. Le variazioni di punteggio dei sintomi possono essere pienamente valutate solo in 80 dei 320 pazienti (25%), di cui 68 (85%) hanno riportato un beneficio significativo, con particolare riferimento ad un miglioramento del dolore, urgenza, nicturia e stranguria. I dati sulle variazioni di volume della prostata, come misurato da esplorazione rettale, erano disponibili in 84 (26,5%) pazienti. Nessun cambiamento significativo è stato osservato. Qmax dopo il trattamento è stata misurata in 83 (26%) pazienti. Esso non mostra variazioni significative rispetto ai valori iniziali.
DISCUSSIONE:
L’associazione testata nel nostro studio è risultata essere sicura e ben tollerata. Non sono stati osservati cambiamenti nella portata e il volume della prostata, ma una marcata riduzione dei LUTS è stata osservata nel 85% dei casi valutabili, soprattutto per quanto riguarda il dolore ed i sintomi irritativi. Si ritiene utile testare l’efficacia di tale associazione nella prevenzione del cancro della prostata, in studi futuri.
Articolo in inglese: Urology. 2010 Jan-Mar;77(1):43-51.
Associating Serenoa repens, Urtica dioica and Pinus pinaster. Safety and efficacy in the treatment of lower urinary tract symptoms.Prospective study on 320 patients
Pavone C1, Abbadessa D, Tarantino ML, Oxenius I, Laganà A, Lupo A, Rinella M.
Abstract
INTRODUCTION:
Serenoa repens (saw palmetto) has been employed for the treatment of lower urinary tract symptoms (LUTS) for several years. Its mechanism of action is believed to be due to antiandrogenic, antiproliferative and antinflammatory properties. An association of Serenoa with the nettle “Urtica dioica” showing antiproliferative activity and the pine “Pinus pinaster” derivative, showing antinflammatory action, has been proposed in recent years. Such an action is hoped to act not only by reducing LUTS but also by preventing the development of prostate cancer.
MATERIAL AND METHODS:
During the years 2007 and 2008, 320 patients suffering from LUTS were treated with an association of Serenoa repens 320 mg, Urtica dioica 120 mg and Pinus pinaster 5 mg, named IPBTRE. This treatment was administered to all patients for a minimal duration of 30 days to a maximum of a year, either alone or in association with antibiotics or alpha-blockers, if needed. Outcome analysis was based on evaluation of symptoms, prostate volume and maximum flow rate (Qmax).
RESULTS:
From a careful analysis of the data collected in our database, the following observations can be made: ages varied between 19 and 78 years. The patients were affected by BPH in 46% of cases, chronic prostatitis syndrome in 43%, chronic genital-pelvic pain in 7% and other conditions in 4%, the absolute numbers being 147, 138, 22 and 7 patients, respectively. No untoward side effect was reported in any case. Variations in symptom score could be fully evaluated only in 80 of 320 patients (25%), of whom 68 (85%) reported a significant benefit, with special reference to an improvement of pain, urgency, strangury and nocturia. Data on variations in prostate volume, as measured by digital rectal examination, were available in 84 (26.5%) patients. No significant change was observed. Qmax after treatment was measured in 83 (26%) patients. It did not show significant changes from the initial values.
DISCUSSION:
The association tested in our study appeared to be safe and well tolerated. No changes in flow rate and prostate volume were observed, but a marked reduction of LUTS was observed in 85% of evaluable cases, especially with regard to pain and irritative symptoms. Whether or not such an association may display a prevention of prostate cancer, may be investigated in additional studies.
BIBLIOGRAFIA UTILE
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
COMPOSIZIONE CHIMICA
La pianta è ricca di polisaccaridi a catena lunga, identificati sinora in numero di cinque, con peso molecolare compreso tra i 15 e i 50 kDa. Contiene una lectina ricca in acetilglucosamina. I composti più abbondanti sono dei composti fenolici in C6-C3, in particolare acidi fenolici, aldeidi fenilpropaniche e alcooli fenilpropanici, e in C6-C2, in particolare lignani diarilfuranici e bis-fenilpropani come l’iresinolo, il secoisolariciresinolo, il isolariciresinolo, il pinoresinolo, il neoolivile e alcuni altri minoritari. Ben rappresentati sono anche gli steroli. Contiene anche discrete quantità di flavonoidi. Nelle radici sono presenti l’alcool omovanillico, l’acido vanillico e la vanillina.
PROPRIETÀ TERAPEUTICHE
Azione sulla prostata. Studi in vitro e nell’animale hanno dimostrato che questa pianta contiene numerosi lignani, che hanno una buona affinità con la SHBG (Sex hormone binding globulin). Proprio tale meccanismo d’azione potrebbe avere un ruolo importante nel determinare l’attività antiprostatica di questa pianta. Inoltre l’estratto secco di Ortica è anche dotato di azione alfa 1 simpaticolitica a livello della muscolatura del detrusore della vescica, con conseguente aumentato rilasciamento dello stesso. Studi in vitro su tessuto prostatico di ratto in degenerazione adenomatosa hanno dimostrato che l’estratto metanolico di questa droga è in grado di ridurre di circa il 50% la crescita di questo tipo di tessuto.Studi in vitro hanno anche evidenziato che la lectina dell’ortica, così come l’interleukina 2, è in grado di legarsi a frammenti di tessuto prostatico umano di tipo iperplastico o neoplastico, con spiccata preferenza per quello iperplastico.Altri studi sempre in vitro su tessuto prostatico di tipo iperplastico indicano che tutti i tipi di estratto di ortica (esanico, eterico, etil acetico e butanolico) inibiscono consistentemente (dal 27,6 all’81,5%) l’attività dell’enzima Na, K-ATPasi del tessuto prostatico alla dose di 0,1 mg./ml., mentre altri componenti della droga quali stigmasterolo, campesterolo e stigmast-4-en-3-one presi isolatamente hanno anch’essi azione analoga anche se un po’ minore di quella dell’estratto in toto. Questi risultati potrebbero indicare che l’inibizione dell’enzima Na, K-ATPasi sia un meccanismo importante per spiegare l’azione soppressiva dell’ortica sul metabolismo e sulla crescita di cellule prostatiche umane ipertrofiche e/o adenomatose. Inoltre le lectine dell’ortica riducono di circa il 53% il legame dell’epidermal growth factor (EGF) con i propri recettori in colture di tessuto prostatico umano ipertrofico. Uno studio nel ratto ha valutato l’effetto di un estratto di ortica sull’ipertrofia prostatica benigna indotta dal testosterone e nella parte in vitro dello stesso l’azione dell’estratto sulla 5 alfa reduttasi. La finasteride veniva usata come controllo positivo. Si è visto che l’estratto e il beta sitosterolo riducevano l’aumento del peso della prostata e del PSA indotti dal testosterone, con un effetto non lontano da quello della finasteride. In vitro entrambe queste sostanze avevano una significativa azione inibitoria sulla 5 alfa reduttasi. Lo studio indica che un estratto di ortica e il beta sitosterolo hanno azione antiproliferativa a livello prostatico nel ratto (22).
La letteratura inerente agli studi clinici che dimostrano l’efficacia dell’Urtica Dioica sulla prostata è ricchissima.
In uno studio clinico ad esempio è stato valutato l’effetto del sitosterolo sull’ipertrofia prostatica benigna. A tale scopo un gruppo di 177 pazienti con una chiara sintomatologia riferibile alla suddetta malattia sono stati trattati per un periodo di 6 mesi con il sitosterolo alla dose di 130 mg/die per os o con un placebo. Come parametri di valutazione si utilizzavano l’International prostate symptom score (IPSS), il flusso urinario massimo, il volume residuo postminzionale e un’autovalutazione sull’intensità dei sintomi fatta dai pazienti stessi su un apposito questionario. Al termine della sperimentazione vi è stato un miglioramento statisticamente significativo (p< 0,01) in tutti i parametri esaminati nei pazienti del gruppo verum rispetto a quelli del gruppo placebo. Non sono stati osservati evidenti effetti collaterali (1).
Un altro studio clinico ha valutato l’effetto del sitosterolo su 12 pazienti affetti da ipertrofia prostatica benigna. Essi ricevevano per os 180 mg/die di sitosterolo per un periodo di 3 mesi, con valutazione dei seguenti parametri: International prostate symptom score (IPSS), flusso urinario massimo, residuo vescicale post-minzionale, volume della prostata e questionario di autovalutazione. Al termine della sperimentazione l’IPSS e il questionario di autovalutazione mostravano miglioramenti statisticamente significativi (p<0,05) nel gruppo verum rispetto a quello placebo, mentre gli altri parametri esaminati evidenziavano solo miglioramenti lievi e non statisticamente significativi. Anche in questo studio non sono stati riscontrati effetti collaterali degni di nota (2).
Uno studio clinico controllato ha indagato l’effetto di un preparato a base di estratto lipidi sterolico di serenoa e di estratto secco di ortica sui sintomi irritativi dell’ipertrofia prostatica benigna. Sono stati arruolati 120 pazienti, che assumevano per os il preparato in questione o un placebo per 24 settimane. Si valutavano la frequenza delle minzioni, l’urgenza delle stesse e la qualità di vita tramite test appositi validati pre e post terapia. Al termine dello studio si è notato che i pazienti del gruppo verum avevano un significativo calo della frequenza delle minzioni e dell’urgenza delle stesse e della qualità della vita rispetto a quelli del gruppo placebo. Non sono stati osservati nei due gruppi effetti collaterali rilevanti. Lo studio indica che la combinazione Serenoa/Ortica è efficace e ben tollerata nel combattere i sintomi irritativi causati dall’ipertrofia prostatica, migliorando la qualità di vita dei pazienti affetti da questa malattia (18).
La Commissione E tedesca riporta che l’ortica (radice) è utile per risolvere i problemi urinari associati agli stadi I e II della IPB. Come la Serenoa ed il Pigeo africano, anche l’Ortica allevia la sintomatologia. Gli studi disponibili, tutti pubblicati in lingua tedesca, hanno infatti evidenziato effetti benefici della radice di ortica nell’alleviare la sintomatologia della IPB.
EFFETTI COLLATERALI: Può verificarsi una reazione allergica al contatto con le parti aeree della pianta, che può prolungarsi fino a 12-14 ore dopo il contatto stesso. È probabile che l’effetto immediato sia dovuto all’azione dell’istamina contenuta nella pianta, ma un effetto così prolungato parrebbe dovuto a sostanze tossiche sulle terminazioni nervose e/o capaci di stimolare il rilascio di altri mediatori allergogeni, il che sembrerebbe confermato dall’aspetto istologico della cute interessata, dove si osserva un numero superiore alla norma di mastociti associati con cellule dendritiche cutanee e con numerosi linfociti.
CONTROINDICAZIONI: Nessuna degna di nota. Per prudenza non somministrare in gravidanza e durante l’allattamento.
STUDI CLINICI A SUPPORTO
Articolo in italiano 2010 Jan-Mar;77(1):43-51.
ASSOCIAZIONE SERENOA REPENS, URTICA DIOICA E PINUS PINASTER NEL TRATTAMENTO DELLE INFIAMMAZIONI DEL BASSO TRATTO URINARIO Pavone C1, Abbadessa D, Tarantino ML, Oxenius I, Laganà A, Lupo A, Rinella M.
Introduzione: La Serenoa repens (saw palmetto) è stata impiegata per il trattamento dei sintomi del basso tratto urinario (LUTS) per diversi anni. Il suo meccanismo d’azione si ritiene sia dovuto alle sue proprietà antiandrogene, antiproliferative e antinfiammatorie. In questi ultimi anni è stata proposta l’associazione di Serenoa Repens, Urtica dioica (che mostrato avere attività antiproliferativa) ed il Pinus pinaster (che ha mostrando attività antinfiammatoria. Tale azione si auspica possa esser utile non solo riducendo le LUTS ma anche impedendo lo sviluppo del cancro alla prostata.
Materiali e metodi: Nel corso degli anni 2007 e 2008, 320 pazienti affetti da LUTS sono stati trattati con una associazione di Serenoa repens 320 mg, 120 mg Urtica dioica e Pinus pinaster 5 mg, di nome IPB-TRE. Questo trattamento è stato somministrato a tutti i pazienti per una durata minima di 30 giorni ad un massimo di un anno, da solo o in associazione con antibiotici o alfa-bloccanti, se necessario. L’Analisi Esito si è basata su una valutazione dei sintomi, il volume della prostata e portata massima (Qmax).
Risultati: Da un’attenta analisi dei dati raccolti nel nostro database, le seguenti osservazioni sono state effettuate le seguenti osservazioni: età varia tra i 19 e 78 anni. I pazienti erano affetti da BPH nel 46% dei casi, da prostatite cronica nel 43%, dolore pelvico cronico-genitale nel 7% e altre condizioni a 4%, il numero totale di pazienti arruolati è stato rispettivamente di 147, 138, 22 e 7. Nessun effetto collaterale indesiderato è stato riportato in alcun caso. Le variazioni di punteggio dei sintomi possono essere pienamente valutate solo in 80 dei 320 pazienti (25%), di cui 68 (85%) hanno riportato un beneficio significativo, con particolare riferimento ad un miglioramento del dolore, urgenza, nicturia e stranguria. I dati sulle variazioni di volume della prostata, come misurato da esplorazione rettale, erano disponibili in 84 (26,5%) pazienti. Nessun cambiamento significativo è stato osservato. Qmax dopo il trattamento è stata misurata in 83 (26%) pazienti. Esso non mostra variazioni significative rispetto ai valori iniziali.
Discussione: L’associazione testata nel nostro studio è risultata essere sicura e ben tollerata. Non sono stati osservati cambiamenti nella portata e il volume della prostata, ma una marcata riduzione dei LUTS è stata osservata nel 85% dei casi valutabili, soprattutto per quanto riguarda il dolore ed i sintomi irritativi. Si ritiene utile testare l’efficacia di tale associazione nella prevenzione del cancro della prostata, in studi futuri.
Articolo in inglese Urology. 2010 Jan-Mar;77(1):43-51.
ASSOCIATING SERENOA REPENS, URTICA DIOICA AND PINUS PINASTER. SAFETY AND EFFICACY IN THE TREATMENT OF LOWER URINARY TRACT SYMPTOMS. PROSPECTIVE STUDY ON 320 PATIENTS
Pavone C1, Abbadessa D, Tarantino ML, Oxenius I, Laganà A, Lupo A, Rinella M.
Abstract
Introduction: Serenoa repens (saw palmetto) has been employed for the treatment of lower urinary tract symptoms (LUTS) for several years. Its mechanism of action is believed to be due to antiandrogenic, antiproliferative and antinflammatory properties. An association of Serenoa with the nettle “Urtica dioica” showing antiproliferative activity and the pine “Pinus pinaster” derivative, showing antinflammatory action, has been proposed in recent years. Such an action is hoped to act not only by reducing LUTS but also by preventing the development of prostate cancer.
Material and Methods: During the years 2007 and 2008, 320 patients suffering from LUTS were treated with an association of Serenoa repens 320 mg, Urtica dioica 120 mg and Pinus pinaster 5 mg, named IPBTRE. This treatment was administered to all patients for a minimal duration of 30 days to a maximum of a year, either alone or in association with antibiotics or alpha-blockers, if needed. Outcome analysis was based on evaluation of symptoms, prostate volume and maximum flow rate (Qmax).
Results: From a careful analysis of the data collected in our database, the following observations can be made: ages varied between 19 and 78 years. The patients were affected by BPH in 46% of cases, chronic prostatitis syndrome in 43%, chronic genital-pelvic pain in 7% and other conditions in 4%, the absolute numbers being 147, 138, 22 and 7 patients, respectively. No untoward side effect was reported in any case. Variations in symptom score could be fully evaluated only in 80 of 320 patients (25%), of whom 68 (85%) reported a significant benefit, with special reference to an improvement of pain, urgency, strangury and nocturia. Data on variations in prostate volume, as measured by digital rectal examination, were available in 84 (26.5%) patients. No significant change was observed.
Phytother Res. 2014 Jul;28(7):949-55.
PHYTOTHERAPY OF BENIGN PROSTATIC HYPERPLASIA. A MINIREVIEW.
Pagano E, Laudato M, Griffo M, Capasso R.
Abstract
Benign prostate hyperplasia (BPH) is a common condition affecting older men, with an incidence that is age-dependent. Histological BPH, which typically develops after the age of 40 years, ranges in prevalence from >50% at 60 years to as high as 90% by 85 years of age. Typical symptoms include increased frequency of urination, nocturia, urgency, hesitancy, and weak urine stream. Conventional medicines used for the treatment of BPH include alpha blockers and 5-alpha reductase inhibitors. This article reviews the mode of action, the efficacy, and the safety, including herb-drug interactions of the most common botanicals (Serenoa repens, Pygeum africanum, Urtica dioica, and Cucurbita pepo) and nutraceuticals (isoflavones, lycopene, selenium, and β-Sitosterol) in controlling the lower urinary tract symptoms associated to BPH.
Inflamm Allergy Drug Targets. 2012 Jun;11(3):207-21.
A REVIEW OF ANIMAL AND HUMAN STUDIES FOR MANAGEMENT OF BENIGN PROSTATIC HYPERPLASIA WITH NATURAL PRODUCTS: PERSPECTIVE OF NEW PHARMACOLOGICAL AGENTS.
Azimi H1, Khakshur AA, Aghdasi I, Fallah-Tafti M, Abdollahi M.
Abstract
Objective: In this paper, we reviewed plants being effective in treatment of BPH for the purpose of finding new sources of pharmaceutical agents.
Methods: All pertinent literature databases were searched. The search keywords were plant, herb, herbal therapy, phytotherapy, benign prostatic hyperplasia, BPH, and prostate. All of the human, animal and in vitro studies were evaluated.
Results: According to the studies, some of the substantial effective constituents of the plants in treatment of BPH are oenothein B, icaritin, xanthohumol, diarylheptanoid, 2,6,4′-trihydroxy-4-methoxybenzophenone, emodin, fatty acids, atraric acid, n-butylbenzene-sulfonamide, curbicin, theaflavin-3,30-digallate, penta-O-galloyl-b-D-glucose, lycopene, sinalbin, β-sitosterol, secoisolariciresinol diglucoside, genistein, apigenin, baicalein, and daidzein. Besides, Serenoa repens, Pygeum africanum, Curcubita pepo, and Urtica dioica as the most prevalent plants used to treat BPH. S. repens in human studies showed equivalent effectiveness to tamsulosin and in combination to U. dioica revealed equal effects to finasteride with less side effects.
Conclusion: There are numerous plants that have beneficial influence on BPH although the mechanisms of action in some plants are not well understood yet. Active ingredients of some of these plants are known and can be used as lead components for development of new effective and safe drugs.
BIBLIOGRAFIA
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Drenaggio dei liquidi corporei – Funzionalità del microcircolo
Ministero della Salute (decreto 9 luglio 2012, aggiornato con decreto 27 Marzo 2014)
PROPRIETÀ TERAPEUTICHE: è dotata di potente attività antiflogistica e antiedematosa, dimostrate sperimentalmente sia nell’animale sia nell’uomo.
L’ananas è una pianta ricchissima di enzimi, il principale dei quali è appunto la bromelina, che è un enzima proteolitico costituito da proteasi sulfidrilate, attivate da sostanze riduttrici quali la cisteina e il glutatione e inibite da sostanze ossidanti e da molti metalli. Contiene inoltre una buona quantità di mono e disaccaridi solubili (fino al 15%), in particolare saccarosio e levulosio, di acidi organici, di vitamine, in particolare vitamina A, vitamine gruppo B e vitamina C, proteine (0,5%) e grassi poliinsaturi (0,3%). La prima forma di bromelina ad esser individuata fu la bromelina del frutto dell’ananas, caratterizzata grazie a studi sul suo utilizzo nella medicina popolare. Successivamente fu individuata una seconda forma, detta bromelina del gambo, utilizzata oggi in campo industriale. Comunque, visto che le varie frazioni posseggono attività sovrapponibili, si utilizza comunemente la miscela nella forma naturale. In quanto enzima proteolitico, la Bromelina è utilizzata nelle dispepsie, spesso in associazione con estratti pancreatici, ma il suo utilizzo principale è come antinfiammatorio ed antiedematoso. Risulta particolarmente efficace nel trattamento degli stati infiammatori dei tessuti molli associati a trauma, nelle infiammazioni localizzate (specialmente in presenza di preedema) e nelle reazioni tissutali postoperatorie. La sicurezza dell’impiego della bromelina rispetto ad altri farmaci antinfiammatori deriva dalla differenza nel suo meccanismo di azione: infatti, laddove i classici FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei) inibiscono la ciclossigenasi, bloccando la sintesi di prostaglandine, la Bromelina “dirotta” tale sintesi, incrementando la produzione di prostaglandine ad attività antinfiammatoria a discapito di quelle ad attività pro-infiammatoria, in tal modo evitando il danno gastrointestinale tipico dei FANS. Tale differenza nel meccanismo d’azione spiega la sinergia che essa può avere con i FANS, ottenendo così un potenziamento degli effetti antinfiammatori. Altre attività farmacologiche della Bromelina includono un’azione antitrombotica, un’attività ipotensiva e la capacità di solubilizzare le placche arterosclerotiche. È nota la sua capacità sinergica nella terapia antibiotica ed antitumorale. Per uso topico si sfrutta l’azione cheratolitica e di “pulizia” dei lembi di pelle morta in prossimità di ulcere ed ustioni (da poco in Italia sono stati messi in commercio farmaci a base di Bromelina per uso topico).
AZIONE ANTIFLOGISTICA – STUDI CLINICI E IN VITRO
L’attività antiflogistica è probabilmente legata ad un’interazione dell’enzima sul metabolismo degli eicosanoidi, verosimilmente sulla lipo-ossigenasi, ne consegue una notevole diminuzione della sintesi delle sostanze ad azione flogogena e vasocostrittiva, in particolare kininogeno, bradichinine, trombossano e prostaglandine E2 e ad un’attività antiaggregante piastrinica e profibrinolitica.
Clin Immunol. 2008 luglio; 128 (1): 66-74. doi: 10.1016 / j. clim. 2008.02.015. Epub 2008 14 maggio.
Il Trattamento con la bromelina riduce la migrazione dei neutrofili verso i siti dell’infiammazione.
Fitzhugh DJ1, Shan S, Dewhirst MW, Hale LP.
Sintesi: La Bromelina, una miscela di proteasi ottenute dall’ananas, è conosciuta per avere benefici terapeutici in molteplici malattie infiammatorie, tra le malattie infiammatorie intestinali. Lo scopo del presente lavoro era comprendere i meccanismi alla base di questa attività anti-infiammatoria. L’esposizione alla bromelina in vitro ha dimostrato essere in grado di rimuovere un numero considerevole di molecole di superficie delle cellule che sono vitali per il traffico dei leucociti, compresi CD128a / CXCR1 e CD128b / CXCR2 che servono come recettori per l’interleuchina chemio-attrattiva sui neutrofili IL-8 e dei suoi omologhi. Abbiamo ipotizzato che la rimozione proteolitica delle molecole CD128 da parte bromelina avvenisse in seguito all’inibizione della migrazione dei neutrofili di IL-8 e quindi la diminuzione delle risposte acute a stimoli infiammatori. L’utilizzo di un test in vitro chemiotassi, ha dimostrato una riduzione del 40% nella migrazione dei neutrofili umani bromelain- vs sham trattati in risposta a rhIL-8. La migrazione verso il batterico fMLP peptide analogico non è stata influenzata, ciò indica che la bromelina non induce un difetto globale di migrazione dei leucociti. In vivo il trattamento con la bromelina ha generato una riduzione del 50-85% nella migrazione dei neutrofili in 3 differenti modelli di migrazione leucocitaria nella cavità peritoneale infiammata. (…..) Presi insieme, questi studi dimostrano che la bromelina può efficacemente diminuire la migrazione dei neutrofili vs i siti dell’infiammazione acuta e sostenere la rimozione specifica del recettore chemochinico CD128 come potenziale meccanismo di azione.
BIBLIOGRAFIA
1) Bruneton J. Pharmacognosie et phytochimie plantes medicinales. Ed. Lavoisier, Paris, 1993.
2) Sannia A. Formulario pratico di fitoterapia. Ed. Tecniche nuove, Milano, 1994.
3) Lotz-Winter H. On the pharmacology of bromelaine: an update with special regard to animal studies on dose dependent effects. Planta Med. 56, 249-253, 1990.
4) Taussig S.J. et al. Bromelain, the enzyme complex of pineapple (Ananas comosus) and its clinical application. An update. J. Ethnopharmacol. 22, 191-203, 1988.
5) Maurer H.R.et al. Bromelain: biochemistry, pharmacology and medical use. Cell. Mol. Life Sci. 58, 1234-1245, 2001.
6) Braun J.M. et al. Therapeutic use, efficiency and safety of the proteolytic pineapple enzyme Bromelain-POS in children with acute sinusitis in Germany. In Vivo. 19(2):417-21, 2005.
7) Brien S. et al. Bromelain as an adjunctive treatment for moderate-to-severe osteoarthritis of the knee: a randomized placebo-controlled pilot study. QJM. 99(12):841-50, 2006.
8) Secor E.R. et al. Oral Bromelain Attenuates Inflammation in an Ovalbumin-induced Murine Model of Asthma. Evid Based Complement Alternat Med. 2008 Mar;5(1):61-9, 2008.
9) Fitzhugh D.J. et al. Bromelain treatment decreases neutrophil migration to sites of inflammation. Clin Immunol. 128(1):66-74, 2008.
10) Hu W. Et al. Debriding Effect of Bromelain on Firearm Wounds in Pigs. J Trauma. 2011 Mar 10. [Epub ahead of print].
11) Aiyegbusi A.I. et al. A comparative study of the effects of bromelain and fresh pineapple juice on the early phase of healing in acute crush achilles tendon injury. J Med Food. 14(4):348-52, 2011.
12) Secor E.R. jr. et al. Bromelain limits airway inflammation in an ovalbumin-induced murine model of established asthma. Altern Ther Health Med. 18(5):9-17, 2012.
13) Gumina S. et al. Arginine L-alpha-ketoglutarate, methylsulfonylmethane, hydrolyzed type I collagen and bromelain in rotator cuff tear repair: a prospective randomized study. Curr Med Res Opin. 28(11):1767-74. doi: 10.1185/03007995.2012.737772, 2012.
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Drenaggio dei liquidi corporei – Funzionalità delle vie urinarie
Ministero della Salute (decreto 9 luglio 2012, aggiornato con decreto 27 Marzo 2014)
L’Uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi) è una pianta della famiglia delle Ericaceae originaria delle zone montagnose dell’emisfero nord, dove preferisce posizioni parzialmente soleggiate con terreno acido.
Composizione Chimica: Il principale costituente è l’arbutina. sono presenti anche la metilarbutina, l’idrochinone e derivati dell’idrochinone. L’acido fenolico maggiormente rappresentato è l’acido gallico che, assieme alla galloilarbutina, costituisce la principale frazione dei gallotannini. Altri costituenti sono i flavonoidi e i triterpeni come l’acido ursolico e l’uvaolo (1) e derivati dell’amirina, un iridoide chiamato monotropeoside e un idrossiacetofenone detto piceoside.
Abbondanti sono anche i tannini, in particolare polifenoli del genere dei gallotannini. Si ritrovano anche acidi fenolici.
Azione prevalente: azione antisettica urinaria.
Altre azioni: anti-infiammatoria.
PROPRIETÀ TERAPEUTICHE: grazie alle sue proprietà antibatteriche e diuretiche è solitamente usata come rimedio contro le cistiti uretriti e infiammazioni/infezioni lievi dell’apparato urinario, nelle prostatiti. Viene utilizzato come antisettico delle vie urinarie visto che il principio attivo (idrochinone) combatte l’adesione dei batteri alle pareti uroteliali e agevola il loro allontanamento da parte dell’urina (1) L’idrochinone ha mostrato ottime azioni antiinfiammatorie quando è venuto a contatto con i ceppi più diffusi quali l’Escherichia coli e lo Streptococcus. Ha dato ottimi risultati anche nell’ipertrofia prostatica e nella ritenzione urinaria (2) Viene raccomandato l’uso delle foglie in tisana e in decotto, soprattutto se associate alla gramigna, al timo.
STUDI CLINICI
AZIONE ANTISETTICA URINARIA
Studi in vitro e nell’animale: l’Uva Ursina è utilizzata come antisettico delle vie urinarie, dal momento che l’idrochinone, dotato di spiccata azione antibatterica in vitro, subisce nel fegato una glucurono e una sulfoconiugazione e poi viene eliminato per via renale. È stato dimostrato che la capacità di molti germi – di aderire alla superficie delle cellule da infettare è fondamentale per il loro potere patogeno, e questa caratteristica dipende strettamente dall’idrofobicità della superficie batterica. Infatti numerosi ceppi di Escherichia coli presenti nelle urine si sono dimostrati capaci di aderire alle cellule vescicali.
Il pretrattamento di questi ceppi batterici con estratto idroalcoolico di uva ursina aumentava notevolmente l’idrofobicità della loro superficie, ostacolando in tal modo la loro adesione alle cellule da infettare e quindi la loro infettività. L’arbutina infatti una volta assunta dall’organismo viene trasformata per idrolisi in un metabolita attivo denominato Idrossichinone, il quale svolge una potente azione antibatterica su tutta la via escretrice (3).
Possiamo pertanto concludere che le foglie di Uva ursina sono ben note ed utilizzate per la loro attività disinfettante urinaria (4) e la sua azione antibatterica è legata perloppiù all’idrochinone (originato dall’idrolisi dell’arbutina). Studi condotti al fine di definire il metabolismo dell’arbutina nell’organismo umano hanno dimostrato che a seguito della somministrazione orale di arbutina in un volontario sano, solo una piccola parte di HQ libero viene escreto con le urine, mentre il 70% si ritrova come HQ-glicuronide e HQ-solfato.
L’idrochinone possiede una buona attività antimicrobica nei confronti di numerosi ceppi batterici frequentemente responsabili delle infezioni del tratto urogenitale, quali l’Escherichia coli, lo Staphylococcus aureus, ceppi di Streptococcus, la Klebsiella pneumonie l’Enterobacter, la Pseudomonas aeruginosa, il Proteus mirabilis e vulgaris, Candida albicans (5). L’attività anti-infiammatoria dell’Uva ursina risulta quindi pertanto utile nelle condizioni di flogosi della mucosa vescicale ed urinaria. Esperimenti in vivo mostrano per un estratto acquoso di Uva ursina foglie somministrato per via i.p. a 10 ratti maschi in un’unica somministrazione di 50 mg/kg di peso corporeo, un aumento del volume di urina nei ratti trattati con l’estratto significativamente superiore già dalla quarta all’ottava ora dopo la somministrazione, rispetto a quello dei controlli ed è stato paragonabile al volume dopo trattamento con idroclorotiazide, un farmaco diuretico (6).
EFFETTI INDESIDERATI: nessuno conosciuto a tutt’oggi
INTERAZIONI CON FARMACI: nessuna conosciuta a tutt’oggi
BIBLIOGRAFIA
LETTERATURA SCIENTIFICA A SUPPORTO
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Tonico adattogeno – Tonico (stanchezza fisica, mentale)
Ministero della Salute (decreto 9 luglio 2012, aggiornato con decreto 27 Marzo 2014)
La Pfaffia Paniculata, denominata anche Suma o Ginseng brasiliano in realtà non appartiene alla famiglia del più noto Ginseng bensì come l’Astragalo o il Dang Gui o l’Eleuterococco, possiede importanti proprietà immunostimolanti ed adattogene, aumenta cioè la resistenza del corpo contro agenti fisici, chimici e biochimici esterni o interni, producendo un benefico effetto sul corpo nel suo insieme. È una pianta originaria dell’Amazzonia ben nota in America Centrale e Meridionale, dove, nelle regioni tropicali dell’area, ai confini del fiume Paranà, ne crescono più di cinquanta specie, i cui benefici sono sfruttati dalle popolazioni indigene da più di quindici anni. In Brasile, la Pfaffia è denominata “todo de para” che significa “per tutte le cose”, “panacea di tutti i mali”.
INDICAZIONI: Pianta largamente e storicamente utilizzata dagli indigeni come tonico, energetico, ringiovanente, tonico sessuale.
Le proprietà adattogene della Pfaffia Paniculata la rendono in grado di incrementare il livello energetico, ridurre il senso di affaticamento ed aumentare la libido migliorando anche la prestazione sessuale dell’uomo. Tali proprietà sono da attribuirsi all’elevata concentrazione di aminoacidi (circa 19), minerali, ferro, magnesio, zinco, vitamine A, B1, B2, E, K, e acido pantotenico. La radice della pianta è inoltre ricca di acido pfaffico, saponine, glicosidi e nortriterpeni e glicosidi ecdisteroidei. Tra gli altri componenti isolati dalla radice spicca un agente anabolico chiamato ecdysterone (beta-ecdysone) che sembra inoltre possedere effetto positivo sulla costruzione di massa magra e sul mantenimento di alti livelli di performance sportive. Gli adattogeni, cosi definiti, costituiscono una classe di regolatori metabolici (di origine naturale) che possono aumentare la capacita dell’organismo ad adattarsi agli stimoli dell’ambiente circostante e ad evitare i danni che possono derivarne. Essi non hanno un corrispettivo nell’ambito della farmacologia classica; tuttavia possono essere inseriti in quel gruppo di farmaci che nella denominazione anglosassone vengono definiti “lifestyle drugs”. Il termine adattogeno fu originariamente coniato nel 1947 dal farmacologo N.V. Lazarev per descrivere l’effetto del dibazolo (2-benzilbenzimidazolo), un vasodilatatore sviluppato in Francia che aumentava la resistenza dell’organismo allo stress in studi sperimentali.
Secondo Brekhman, il pioniere nella ricerca delle droghe adattogene, un “adattogeno” è utile “quando la resistenza dell’organismo è diminuita o… quando l’organismo è affaticato da eccessivo sforzo”.
Affinché una sostanza possa essere considerata adattogena deve: aumentare la resistenza dell’organismo indipendentemente dalla natura dello stimolo nocivo (effetto non-specifico);
prevenire o antagonizzare i disturbi causati da agenti che provocano stress, anche se questi vanno in direzione opposta nell’ambito della stessa condizione patologica (effetto normalizzante)
essere sicura (tossicita minima).
Anche oggi, l’utilizzo della Pfaffia Paniculata é perloppiù nei prodotti tonici, afrodisiaci e adattogeni: é quindi in grado di aumentare la resistenza alla fatica, di aumentare la capacità di concentrazione come immunostimolante in grado di trattare l’affaticamento psicofisico. Di recente la Suma é stata chiamata anche “il segreto Russo” riferito all’utilizzo che per molto tempo ne hanno fatto gli atleti olimpici russi, ottenendo importanti prestazioni senza alcun effetto indesiderato. I ginsenosidi sono in grado di rilassare il corpo cavernoso attraverso la liberazione di ossido d’azoto (che esercita i suoi effetti vasorilassanti attraverso la produzione di GMP ciclico). In uno studio preliminare, in doppio cieco, con placebo, è stata recentemente dimostrata l’efficacia del ginseng nel trattamento della disfunzione erettile.
LETTERATURA SCIENTIFICA DI RIFERIMENTO
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Antiossidante
Ministero della Salute (decreto 9 luglio 2012, aggiornato con decreto 27 Marzo 2014)
PROANTOCIANIDINE OLIGOMERICHE
Le proantocianidine oligomeriche estratte dalla corteccia del Pinus pinaster sono da tempo studiate in esperimenti in vitro e su modelli animali per le loro proprietà antiossidanti. Le proantocianidine sono polimeri ad alto peso molecolare che si formano dalla condensazione ossidativa dell’unità monomerica flavan-3-olo (+) catechina ed (-) epicatechina) con i flavan-3,4-dioli, prima in dimeri e successivamente in oligomeri. Sono denominate appunto “proantocianidine” perché se vengono lise con trattamento acido danno origine ad antocianidine come ad es. la cianidina. Le proantocianidine oligomeriche (OPCs- Oligomeric proanthocyanidins) sono polimeri a catena corta idrosolubili.
Alcuni dei benefici effetti delle proantocianidine oligomeriche sono i seguenti:
Anti-infiammatori: legati anche alla capacità di prevenire l’attivazione di NF-kB e AP-1, fattori di trascrizione nucleare sovra espresso in condizioni di stress ossidativo e in presneza di cellule tumorali. (Rohdewald P et al. In Flavonoids in Health and Disease, ed, Marcel Dekker Inc. NY 1998, Chapter 17, pages 405-419). Le Proantocianidine Oligomeriche (OPC) estratte dal Pinus Pinaster sono pertanto in gradi di diminuire i sintomi di infiammazione cronica. Studi in vitro dimostrano effetti-antinfiammatori dovuti probabilmente all’inibizione della produzione di perossido da parte dei macrofagi. Inoltre, studi su animali dimostrano che le OPC inibiscono in modo significativo la formazione di citochine proinfiammatorie, l’interleuchina 1-beta e il fattore di necrosi tumorale-alfa (Food Chem Toxicol. 2008 Jan;46(1):175-85. Epub 2007 Jul 28.)
Antiallergici: (Choi YH, Yan GH. Phytother Res. 2009; 23:1691-5) Le Proantocianidine Oligomeriche sono in gradi di inibire l’espressione dei geni per la sintesi di COX-2 (ciclossigenasi inducibile) e 5-LOX (lipoperossidasi), ciò determina una riduzione della produzione di leucotrieni (Canali R, et al. Int Immunopharmacol. 2009; 9:1145-9) http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9112694
STUDI CLINICI
Food Chem Toxicol. 2008 Jan; 46(1):175-85. Epub 2007 Jul 28.
Protective effect of pine (Pinus morrisonicola Hay.) needle on LDL oxidation and its anti-inflammatory action by modulation of iNOS and COX-2 expression in LPS-stimulated RAW 264.7 macrophages.
Yen GC1, Duh PD, Huang DW, Hsu CL, Fu TY.
Abstract
The protective effects of pine (Pinus morrisonicola Hay.) needle on low-density lipoprotein (LDL) oxidation and nitric oxide production in macrophages as well as its bioactive compounds were investigated. Of the four solvent extracts, the ethyl acetate extract of pine needle (EAE-PN) exhibited the strongest scavenging action on free radicals. EAE-PN significantly inhibited copper-induced LDL oxidation through prolonging the lag phase of conjugated dienes formation and decreasing the relative electrophoretic mobility of LDL. Lipid accumulation and foam cell formation were significantly reduced when EAE-PN (75 microg/mL) was added to the medium co-incubated with macrophages cells and copper-induced LDL. EAE-PN also markedly inhibited reactive oxygen species production in RAW 264.7 cells stimulated with lipopolysaccharide (LPS). As regards NO production in cells, EAE-PN showed dose-dependent inhibitory effect on nitric oxide (NO) production in LPS-stimulated RAW 264.7 cells. The inducible nitric oxide synthase (iNOS) and cyclooxygenase 2 (COX-2) protein expressions in LPS-stimulated RAW 264.7 cells were inhibited by EAE-PN. RT-PCR analysis indicated that the iNOS and COX-2 mRNA expression were suppressed by EAE-PN. The major phenolic compounds in EAE-PN were epicatechin and p-coumaric acid by HPLC analysis. The presence of epicatechin and p-coumaric acid in EAE-PN may be partially responsible for the biological action of EAE-PN. Taken together, these results suggest that EAE-PN may provide potential protective effects against LDL oxidation and attenuating excessive NO generation at inflammatory sites; consequently, this may contribute to anti-atherosclerotic and anti-inflammatory effects of EAE-PN.
Articolo:
Urologia. 2010 Jan-Mar; 77(1): 43-51
Associating Serenoa repens, Urtica dioica and Pinus pinaster. Safety and efficacy in the treatment of lower urinary tract symptoms. Prospective study on 320 patients.
Pavone C1, Abbadessa D, Tarantino ML, Oxenius I, Laganà A, Lupo A, Rinella M.
INTRODUCTION – Serenoa repens (saw palmetto) has been employed for the treatment of lower urinary tract symptoms (LUTS) for several years. Its mechanism of action is believed to be due to antiandrogenic, antiproliferative and antinflammatory properties. An association of Serenoa with the nettle “Urtica dioica” showing antiproliferative activity and the pine “Pinus pinaster” derivative, showing antinflammatory action, has been proposed in recent years. Such an action is hoped to act not only by reducing LUTS but also by preventing the development of prostate cancer.
MATERIAL AND METHODS – During the years 2007 and 2008, 320 patients suffering from LUTS were treated with an association of Serenoa repens 320 mg, Urtica dioica 120 mg and Pinus pinaster 5 mg, named IPBTRE. This treatment was administered to all patients for a minimal duration of 30 days to a maximum of a year, either alone or in association with antibiotics or alpha-blockers, if needed. Outcome analysis was based on evaluation of symptoms, prostate volume and maximum flow rate (Qmax).
RESULTS – From a careful analysis of the data collected in our database, the following observations can be made: ages varied between 19 and 78 years. The patients were affected by BPH in 46% of cases, chronic prostatitis syndrome in 43%, chronic genital-pelvic pain in 7% and other conditions in 4%, the absolute numbers being 147, 138, 22 and 7 patients, respectively. No untoward side effect was reported in any case. Variations in symptom score could be fully evaluated only in 80 of 320 patients (25%), of whom 68 (85%) reported a significant benefit, with special reference to an improvement of pain, urgency, strangury and nocturia. Data on variations in prostate volume, as measured by digital rectal examination, were available in 84 (26.5%) patients. No significant change was observed. Qmax after treatment was measured in 83 (26%) patients. It did not show significant changes from the initial values.
DISCUSSION – The association tested in our study appeared to be safe and well tolerated. No changes in flow rate and prostate volume were observed, but a marked reduction of LUTS was observed in 85% of evaluable cases, especially with regard to pain and irritative symptoms. Whether or not such an association may display a prevention of prostate cancer, may be investigated in additional studies.
Articolo: traduzione in italiano
Urologia. 2010 Jan-Mar; 77(1): 43-51
Associazione Serenoa Repens, Urtica Dioica e Pinus Pinaster nel trattamento delle infiammazioni del basso tratto urinario
Pavone C1, Abbadessa D, Tarantino ML, Oxenius I, Laganà A, Lupo A, Rinella M.
INTRODUZIONE – La Serenoa repens (saw palmetto) è stata impiegata per il trattamento dei sintomi del basso tratto urinario (LUTS) per diversi anni. Il suo meccanismo d’azione si ritiene sia dovuto alle sue proprietà antiandrogene, antiproliferative e antinfiammatorie. In questi ultimi anni è stata proposta l’associazione di Serenoa Repens, Urtica dioica (che mostrato avere attività antiproliferativa) ed il Pinus pinaster (che ha mostrando attività antinfiammatoria. Tale azione si auspica possa esser utile non solo riducendo le LUTS ma anche impedendo lo sviluppo del cancro alla prostata.
MATERIALI E METODI – Nel corso degli anni 2007 e 2008, 320 pazienti affetti da LUTS sono stati trattati con una associazione di Serenoa repens 320 mg, 120 mg Urtica dioica e Pinus pinaster 5 mg, di nome IPB-TRE. Questo trattamento è stato somministrato a tutti i pazienti per una durata minima di 30 giorni ad un massimo di un anno, da solo o in associazione con antibiotici o alfa-bloccanti, se necessario. L’Analisi Esito si è basata su una valutazione dei sintomi, il volume della prostata e portata massima (Qmax).
RISULTATI – Da un’attenta analisi dei dati raccolti nel nostro database, le seguenti osservazioni sono state effettuate le seguenti osservazioni: età varia tra i 19 e 78 anni. I pazienti erano affetti da BPH nel 46% dei casi, da prostatite cronica nel 43%, dolore pelvico cronico-genitale nel 7% e altre condizioni a 4%, il numero totale di pazienti arruolati è stato rispettivamente di 147, 138, 22 e 7. Nessun effetto collaterale indesiderato è stato riportato in alcun caso. Le variazioni di punteggio dei sintomi possono essere pienamente valutate solo in 80 dei 320 pazienti (25%), di cui 68 (85%) hanno riportato un beneficio significativo, con particolare riferimento ad un miglioramento del dolore, urgenza, nicturia e stranguria. I dati sulle variazioni di volume della prostata, come misurato da esplorazione rettale, erano disponibili in 84 (26,5%) pazienti. Nessun cambiamento significativo è stato osservato. Qmax dopo il trattamento è stata misurata in 83 (26%) pazienti. Esso non mostra variazioni significative rispetto ai valori iniziali.§
DISCUSSIONE – L’associazione testata nel nostro studio è risultata essere sicura e ben tollerata. Non sono stati osservati cambiamenti nella portata e il volume della prostata, ma una marcata riduzione dei LUTS è stata osservata nel 85% dei casi valutabili, soprattutto per quanto riguarda il dolore ed i sintomi irritativi. Si ritiene utile testare l’efficacia di tale associazione nella prevenzione del cancro della prostata, in studi futuri.
Food Chem Toxicol. 2013 Mar;53:94-9. doi: 10.1016/j.fct.2012.11.024. Epub 2012 Dec 5.
Anti-inflammatory properties of fruit juices enriched with pine bark extract in an in vitro model of inflamed human intestinal epithelium: the effect of gastrointestinal digestion.
Frontela-Saseta C1, López-Nicolás R, González-Bermúdez CA, Martínez-Graciá C, Ros-Berruezo G.
Abstract
Enrichment of fruit juices with pine bark extract (PBE) could be a strategy to compensate for phenolic losses during the gastrointestinal digestion. A coculture system with Caco-2 cells and RAW 264.7 macrophages was established as an in vitro model of inflamed human intestinal epithelium for evaluating the anti-inflammatory capacity of fruit juices enriched with PBE (0.5 g L(-1)) before and after in vitro digestion. The digestion of both PBE-enriched pineapple and red fruit juice led to significant changes in most of the analysed phenolic compounds. The in vitro inflammatory state showed cell barrier dysfunction and overproduction of IL-8, nitric oxide (NO) and reactive oxygen species (ROS). In the inflamed cells, incubation with nondigested samples reduced (P<0.05) the production of IL-8 and NO compared with digested samples. ROS production increased in the inflamed cells exposed to digested commercial red fruit juice (86.8±1.3%) compared with fresh juice (77.4±0.8%) and increased in the inflamed cells exposed to digested enriched red fruit juice (82.6±1.6%) compared with the fresh enriched juice (55.8±6%). The anti-inflammatory properties of PBE-enriched fruit juices decreased after digestion; further research on the bioavailability of the assayed compounds is needed to properly assess their usefulness for the treatment of gut inflammation.
BIBLIOGRAFIA
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Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Ad ogni parte dell’albero sono state attribuite diverse proprietà e usi. Di solito il frutto ed il suo succo sono utilizzati contro vermi e parassiti, per diminuire la febbre, per aumentare la quantità di latte delle mamme dopo il parto (lattogogo) e come astringente per diarrea e dissenteria.
Nella graviola sono stati trovati molti composti bioattivi, frutto di ricerche effettuate da scienziati sin dagli anni ’40. Molti degli usi nella Medicina Naturale sono stati confermati da queste ricerche scientifiche. I primi studi risalgono al periodo 1941-1962.
Alcuni studi su animali condotti da diversi ricercatori hanno dimostrato che sia la corteccia che le foglie hanno attività ipotensive, antispasmodiche, rilassanti dei muscoli lisci e cardio depressive. Nel 1991 alcuni ricercatori hanno confermato le proprietà ipotensive della Graviola nei ratti. Molti altri studi durante gli anni hanno dimostrato che le foglie, la corteccia, le radici, lo stelo e gli estratti dei semi possono agire come antibatterico (in vitro) contro numerosi agenti patogeni mentre la corteccia ha anche proprietà funghicide. In uno studio del 1991 i semi di Graviola hanno evidenziato proprietà antiparassitarie; l’estratto delle foglie ha mostrato proprietà funghicide. Secondo uno studio del 1940 le foglie, le radici e in particolare i semi, hanno dimostrato forti caratteristiche insetticide.
Nel 1976, in un programma di tests su piante da parte del National Cancer Institute (USA), le foglie e lo stelo della Graviola hanno mostrato un’attiva citotossicità (proprietà di danneggiare cellule o distruggere cellule caratteristiche di alcune sostanze o cellule) contro cellule cancerose e i ricercatori stanno continuando le ricerche fin da allora.
La maggior parte delle ricerche sulla graviola si sono concentrate su un nuovo gruppo di composti chiamati Annonacee acetogenine. Le potenti capacità antitumorali di queste Annonacee acetogenine sono stare registrate e brevettate.La graviola produce infatti questi composti naturali nelle foglie, nella corteccia e nei rami di cui sono state dimostrate le forti proprietà antitumorali.
STUDI CLINICI
Tre studi di laboratorio separati sul loro meccanismo d’azione hanno determinato che le Acetogenine sono degli stupendi inibitori del Complesso I (NADH – ubichinone reduttasi) nel sistema di trasporto degli elettroni nella membrana mitocondriale per diversi organismi, inclusi i tumori. Ricerche su varie specie di piante Annonacee hanno fatto emergere molte acetogenine estremamente potenti. Altri componenti attivi dalla graviola e di altre piante annonacee sono state sottoposti al NIH (National Institute of Health) dalla Purdue University come possibile protezione anti-AIDS e questo lavoro è continuato con diverse altre piante della stessa famiglia. Finora lo staff della Purdue ha registrato almeno 9 brevetti in America e internazionali sulle loro ricerche relative all’uso e alle proprietà antitumorali e insetticida di queste acetogenine.
Tre diversi gruppi di ricerca hanno isolato nuovi composti nei semi e nelle foglie della Graviola che hanno dimostrato significative proprietà antitumorali, anticancro e una tossicità selettiva contro vari tipi di cellule cancerose ed hanno pubblicato le loro scoperte in otto studi clinici.
C’è stato molto interesse nei composti che hanno dimostrato potenti proprietà antitumorali ed alcuni gruppi di ricerca stanno tentando di riprodurre sinteticamente questi composti per produrre nuovi farmaci chemioterapici. In una recensione del The Journal of Natural Products del 1999 è riportato: “Le annonacee acetogenine sono dei promettenti agenti antitumorali e pesticidi che si trovano solo nella famiglia delle piante annonacee. Biologicamente esse esibiscono la loro potenza bioattiva attraverso l’esaurimento dei livelli di ATP ottenuto tramite l’inibizione del complesso I dei mitocondri e inibendo la NADH ossidasi della membrana plasmatica delle (sole?) cellule tumorali. In questo modo esse ostacolano il meccanismo di resistenza condotto dall’ATP.” Un altro articolo nello Skaggs scientific Reports 1997-1998 riporta: “Le annonacee acetogenine, particolarmente quelle con cercine bis-tetraidrofurano (THF), posseggono una notevole citotossicità e attività antitumorali, antimalariche, immunosoppressive, pesticide, repellenti per gli insetti. Molti di questi derivati di acidi grassi hanno strutture simili al carbonio; la loro impressionante diversità è originata principalmente dalla relativa e assoluta configurazione delle loro varie funzioni stereogeniche dell’ossigeno.” La Purdue University ha condotto una grande quantità di ricerche sulle Annonacee acetogeninemolte delle quali sono state finanziate dal National Cancer Institute e/o dal National Institute of Health. In uno dei recenti articoli intitolato Recent Advances in Annonaceous Acetogenins, hanno dichiarato: le Annonacee acetogenine sono sostanze cerose composte da acidi grassi a catena lunga, C32 o C34, che sono state combinate con un’unità di 2-propanol – C-2 per formare un lattone. Questi si trovano solo in alcune famiglie di piante, le Annonacee. Le loro diverse bioattività come antitumorali, immunosoppressive, pesticide, antiprotozoi, repellente insetticida, antielmintiche e come agenti antimicrobici hanno provocato moltissimo interesse in tutto il mondo. Recentemente abbiamo riferito che le Annonacee acetogenine possono inibire selettivamente la crescita di cellule cancerose e quella di cellule tumorali resistenti all’Adriamicina. Come sono state isolate più Acetogenine e con l’esecuzione di ulteriori analisi di citotossicità abbiamo notato che, sebbene molte Acetogenine abbiano grande potenza contro molte tipologie di cellule tumorali solide umane, alcuni dei derivati all’interno dei diversi tipi strutturali e alcuni isomeri di posizione hanno dimostrato notevoli selettività tra alcuni tipi di cellule, ad esempio cancro alla prostata (PC-3).
MECCANISMO D’AZIONE
Le Acetogenine sono potenti inibitori del NADH, ubichinone ossireduttasi, che è un enzima essenziale del complesso I che porta alla fosforilazione ossidativa nei mitocondri. Un rapporto recente ha mostrato che esse agiscono direttamente nei siti ubichinone-catalitici all’interno del complesso I e nella glucosio-deidrogenasi-microbica. Esse inibiscono anche la NADH ossidasi, legata all’ubichinone, che è tipica delle membrane plasmatiche delle cellule cancerose. Nel 1997 la Purdue University ha pubblicato un’informativa con novità promettenti su diverse Annonacee acetogenine “: …non solo sono efficaci nel distruggere tumori che sono resistenti ai farmaci anti-cancro, ma sembrano avere anche un’affinità con queste cellule resistenti”. In diverse interviste dopo aver pubblicato queste informazioni, il farmacologo della Purdue, il dr. Jerry McLaughlin, il principale ricercatore della maggior parte degli studi della Purdue sulle Annonacee, ha detto che le cellule del cancro che sopravvivono alla Chemio-Terapia possono sviluppare una resistenza agli agenti usati originariamente contro di esse come pure ad altri farmaci anche non connessi; “Il termine MDR (multi-drug resistance, multifarmaco resistenza) è stato applicato a questo fenomeno” ha affermato il dr. McLaughlin. Egli ha spiegato che questa resistenza si sviluppa in una piccola percentuale di cellule cancerose quando esse producono una “pompa P-glicoproteina” capace di spingere fuori dalle cellule gli agenti anti-cancro prima che questi riescano ad eliminarle. Le cellule normali raramente sviluppano tale pompa. “Se avere questa pompa fosse una buona opportunità, tutte le cellule dovrebbero averla. Ma non tutte le cellule ne sono provviste”, ha affermato il Dr. McLaughlin. In una persona, data una certa quantità di cellule cancerose, forse solo il 2% delle cellule posseggono questa pompa. Ma è questo 2% che alla fine cresce e si espande per creare altri tumori farmaco-resistenti. Il gruppo di studiosi guidati dal dr. McLaughlin ha scritto in alcuni studi che essi hanno tentato di bypassare queste pompe provando a tenerle occupate con dosi massicce di altri farmaci, come il Verapamil, utilizzato per normalizzare la pressione sanguigna (Baccarani M.: D-Verapamil down-modulates P170-associated resistance to doxorubicin, daunorubicin and idarubicin, “Anti-Cancer Drugs”, 4, pp 173-180, 1993); (Bissett D., Phase I and pharmacokinetic study of D-verapamil and doxorubicin, “Br. J. Cancer “, pp.1168-1171,1991.); (Bruserud O., Effect of Verapamil on T-Lymphocyte Activation in vitro, “Scand. J. Immunol.” 21, pp. 73-79, 1985). n questo modo si era sperato che alcuni farmaci anti-cancro potessero entrare nelle cellule e distruggerle; ma ciò aveva solamente provocato potenziali effetti secondari letali quale il calo della pressione sanguigna. Nel numero di giugno del Cancer Letters, i ricercatori della Purdue hanno riferito che l’Annonacea acetogenina, il bullatacin, elimina preferibilmente le cellule cancerose multiresistenti perché blocca la produzione dell’ATP, adenosina trisfosfato, il principale composto che ha il compito di trasportare l’energia del corpo. “Una cellula farmaco-multiresistente richiede un’enorme quantità di energia far funzionare questa pompa per espellere qualcosa” ha affermato il dr. McLaughlin “…Inibendo la produzione di ATP, noi fondamentalmente mettiamo un tappo sulla sua fonte di energia”. Ma cosa si può dire dell’effetto dell’ATP sulle cellule normali? “Le cellule normali e quelle cancerose comuni possono essere capaci di minimizzare l’effetto di questo componente perché esse non richiedono grandi quantità di energia, necessaria invece alle cellule che fanno muovere queste pompe”, sono le affermazioni dei ricercatori della Purdue. “La cellula resistente utilizza la sua energia extra per far funzionare questa pompa e per crescere, così è veramente gravata energicamente. Quando interveniamo su questa fornitura di energia, la cellula può essere distrutta.” Nel numero di giugno del Journal of Medicinal Chemistry, il dr. McLaughlin e collaboratori hanno descritto uno studio su 14 composti di Annona che sembrano essere dei potenti neutralizzatori dell’ATP, inclusi diversi tipi presenti solo nella Graviola. “Questo studio ci dice come massimizzare questa attività, così abbiamo un’idea abbastanza buona su quali composti potremmo utilizzare per testare sugli animali con tumori resistenti a trattamenti multifarmacologici. La ricerca sul cancro su queste importanti piante ed i loro componenti chimici sarà ovviamente crescente, diverse compagnie farmaceutiche continuano la ricerca, testando e cercando di sintetizzare questi composti in nuovi farmaci chemioterapici”.
Alla conclusione delle due settimane di esperimento, il gruppo di topi sottoposti a terapia chemio con “Adriamicina” avevano dimostrato una riduzione delle masse tumorali superiori al 54% rispetto al gruppo di controllo. Nel gruppo di controllo morì un solo topo al termine delle due settimane Nel gruppo di topi sottoposti a chemioterapia morì circa il 50%, al termine delle 2 settimane Nel gruppo di topi sottoposti a terapia con Annonacina, tutti i topi erano ancora vivi e i tumori erano stati ridotti di volume di circa il 60%.
CONTROINDICAZIONI
La Graviola ha una dimostrata attività di stimolante uterino in studi su animali (topi) e quindi dovrebbe essere evitata durante la gravidanza. Ha provate capacità come ipotensivo, vasodilatatatore e cardio-depressivo. Si ritiene pertanto contro-indicato il suo impiego in pazienti con patologie cardio-circolatorie importanti.
BIBLIOGRAFIA UTILE
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
L’arginina è un amminoacido polare (con catena laterale idrofilica) basico. La basicità dell’amminoacido è dovuta al gruppo guanidinico che caratterizza la sua catena laterale, il quale è fortemente basico. Deve il suo nome al latino argentum, dato che è stata isolata per la prima volta precipitandone il sale d’argento. Fu isolata per la prima volta nel 1886 da un estratto di germoglio di lupino a opera del chimico svizzero Ernst Schultze.
La conversione in citrullina tramite l’enzima ossido nitrico sintetasi produce anche ossido nitrico, che agisce da vasodilatatore. L’arginina è anche il donatore del gruppo guanidinico all’amminoacido glicina per la sintesi endogena della creatina. È commercializzata anche come prodotto coadiuvante della oligoastenospermia, situazione di insufficiente produzione di spermatozoi (causa frequente di ipo-fertilità nell’uomo).
Proprietà vasodilatatorie (Teoria della vasodilatazione): L’arginina viene comunemente proposta come amminoacido in grado di promuovere una dilatazione dei vasi sanguigni, o vasodilatazione. Fondamentalmente, si afferma che la somministrazione di arginina sia in grado di stimolare la sintesi di ossido nitrico (NO) nei vasi sanguigni.
La teoria potrebbe essere configurata nel modo seguente:
Arginina -> Ossido Nitrico -> Vasodilazione -> Trasporto di nutrienti -> Ipertrofia e forza muscolare
La teoria della vasodilatazione è relativamente semplice: l’arginina è il precursore per la sintesi di ossido nitrico. Studi preliminari hanno dimostrato che l’arginina è di aiuto per in tutte quelle condizioni fisiche che trovano beneficio nella vasodilatazione, come l’arteriosclerosi, la disfunzione rettile ed il claudicatio intermittensis. L’arginina è coinvolta anche nella formazione delle proteine necessarie al nostro organismo, mentre in quantità maggiori stimola il rilascio dell’ormone della crescita e della prolattina. L’arginina è utilizzata anche per il trattamento della disfunzione erettile. Come il citrato di sildenafil (Viagra), la L-arginina è pensata per potenziare l’azione dell’ossido di azoto verso i muscoli che circondano i vasi sanguigni dei corpi cavernosi. Come risultato i vasi sanguigni del pene si dilatano, aumentando il flusso sanguigno e di conseguenza l’erezione stessa. La differenza fra le due sostanze è che il Viagra va a bloccare l’enzima PDE5 (che distrugge l’ossido nitrico), mentre l’arginina è utilizzata per incrementare la produzione dell’ossido nitrico. In uno studio, sono stati somministrati a 50 uomini 5g di arginina al giorno, oppure una sostanza placebo. Dopo sei settimane gli uomini che hanno osservato miglioramenti erano quelli che avevano assunto la L-arginina. A differenza del Viagra, tale sostanza deve, infatti, essere assunta quotidianamente.
La L-arginina come abbiamo detto è un amminoacido: con l’assunzione mirata di alcuni amminoacidi si possono influenzare positivamente la potenza e il rendimento sessuale.1
In Italia, circa 3 milioni di uomini soffrono di disturbi dell’erezione (DE) e diversamente da quanto si possa immaginare, è una patologia che può insorgere anche molto precocemente (molti uomini già intorno ai 30 anni riscontrano questi problemi), con gravi conseguenze anche di natura psicologica: una ridotta potenza sessuale indebolisce l’autostima degli uomini, provoca insicurezza nell’approccio con la partner e può addirittura sfociare in una depressione. Oltre che da vari rimedi chimici, il rendimento e la potenza sessuale possono essere influenzati positivamente anche da alcuni amminoacidi. Questo vale soprattutto per gli amminoacidi arginina e ornitina.
L’arginina è un precursore dell’ossido di azoto che manifesta numerosi effetti benefici nell’organismo umano. Nel 1998 il Premio Nobel per la Medicina è stato assegnato proprio per le particolari scoperte relative all’amminoacido arginina2: l’ossido di azoto infatti permette il rilassamento delle pareti dei vasi sanguigni e, per questo motivo, migliora la circolazione sanguigna in tutto il corpo, inclusa quella del corpo cavernoso del pene.3 Questo aumento del livello di ossido nitrico provocato dall’arginina rende dunque più elastiche le arterie.4 Ciò può ridurre la pressione sanguigna e migliorare la capacità di erezione.5 Inoltre, l’ossigeno e le sostanze nutritive trasportate dal sangue raggiungono gli organi più velocemente e ciò ha un effetto complessivamente positivo sulla potenza maschile, sulla durata e sul rendimento sessuale.6
Farmacologi dell’università di medicina di Hannover (MHH – Medizinische Hochschule Hannover) ne hanno studiato l’efficacia su pazienti con disturbi dell’erezione. «Dalle prime analisi risultano degli effetti positivi», afferma il coordinatore dello studio, il Prof. Dirk Stichtenoth dell’istituto di farmacologia clinica. Per 30 giorni i 70 partecipanti allo studio hanno assunto quotidianamente arginina e per i 30 giorni successivi invece un placebo. I risultati dello studio sono stati pubblicati da una rivista specializzata. «Ad oggi non ci sono medicinali contenenti arginina che sono stati ammessi per la cura dei disturbi erettili. Per questo sarebbero necessari ulteriori studi. Tuttavia l’arginina è attualmente reperibile sotto forma di integratore alimentare», dice il farmacologo.
In uno studio dell’Università di Colonia dell’anno 1999, 26 uomini (età media 51 anni) con problemi di potenza sessuale hanno ricevuto quotidianamente 1.500 milligrammi di arginina sotto forma di capsule. Dopo 7 settimane il 73% dei pazienti ha riscontrato un percepibile miglioramento della forza erettile e non è stato riscontrato alcun effetto collaterale.8 Anche un altro studio condotto sempre nel ’99 presso l’università di Tel Aviv ha ottenuto risultati simili: i soggetti coinvolti erano 46 uomini ai quali era stata diagnosticata una disfunzione erettile. 29 di essi hanno assunto quotidianamente arginina nell’ordine di grammi, i restanti hanno ricevuto un placebo. Il 31% dei soggetti appartenenti al gruppo sperimentale (che avevano assunto arginina) ha riferito di un evidente miglioramento della forza erettile dopo 6 settimane mentre solo 2 partecipanti del gruppo placebo hanno riscontrato un effetto simile.9
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Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Drenaggio dei liquidi corporei – Funzionalità delle vie urinarie – Funzioni depurative dell’organismo
Ministero della Salute (decreto 9 luglio 2012, aggiornato con decreto 27 Marzo 2014)
Il termine asparago o asparagio (dal greco aspharagos, che è dal persiano asparag, ossia germoglio) può designare sia l’intera pianta che i germogli della pianta Asparagus officinalis L. Appartiene alla famiglia delle Liliaceae, un’angiosperma monocotiledone. L’asparago possiede particolari proprietà diuretiche, viene apprezzato dai buongustai e ha alle spalle una storia millenaria.
È una specie dioica che porta cioè fiori maschili e femminili su piante diverse: i frutti (prodotti dalle piante femminili) sono piccole bacche rosse contenenti semi neri. La pianta è dotata di rizomi fusti modificati che crescono sotto terra formando un reticolo; da essi si dipartono i turioni ovvero la parte epigea e commestibile della pianta. Nel caso di coltura forzata il turione si presenta di colore bianco mentre in pieno campo a causa della fotosintesi clorofilliana assume una colorazione verde. Se non vengono raccolti per il consumo dai turioni si dipartono gambi di lunghezza variabile da 1 a 1,5 m; tali gambi vanno raccolti quando ancora essi non hanno raggiunto una dura consistenza. Le foglie (cladòdi) di questa pianta sono minute e riunite in fascetti di 3-6. Diversamente da molte verdure, dove i germogli più piccoli e fini sono anche più teneri, gli steli più grossi dell’asparago hanno una maggiore polpa rispetto allo spessore della pelle, risultando quindi più teneri.
Della stessa famiglia dell’aglio e della cipolla, l’asparago condivide con essi anche alcune proprietà positive (grazie all’effetto diuretico è un coadiuvante contro gotta, calcoli renali, reumatismi e idropisia).
In particolare esso ha un ruolo attivo nella diminuzione di casi di eczema. La composizione chimica dell’asparago è la seguente:
A questa pianta vengono attribuite proprietà: diuretiche, lassative, antispasmodiche, diaforetiche ed aperitive.
Le proprietà benefiche per i reni dell’asparago sono note fin dall’antichità: Mattioli: “L’asparago è volgarmente noto. Le cui cime cotte mollificano il corpo, e fanno orinare. La decottione delle radici una volta bevuta, giova all’orina ritenuta, à trabocco di fiele, alle malattie dei reni e alle sciatiche. La decottione fatta nel vino giova ai denti doloranti. Le cime peste e bevute con vino bianco levano il dolore ai reni”. Il componente principale è l’asparagina (che le conferisce il tipico forte [2]. Esso in particolare è causato da alcuni prodotti di degradazione contenenti zolfo (in particolare tioli e tioesteri). L’analisi chimica approfondita ha rivelato che si tratta di derivati dell’acido asparagusico (1,2-ditiolan-carbossilico) e cioè del bis-(metiltio)-metano e degli esteri metilici dell’acido tioacrilico e (3-metiltio)-tioproprionico. Tale odore caratteristico, stando a uno studio inglese (EN) [1]), è prodotto solamente dal 40% delle persone e rilevato da una percentuale simile, senza però che ci sia alcuna correlazione tra coloro che producono tale odore e coloro che riescono a rilevarlo. Uno studio più recente (EN) [2]) invece sostiene che l’odore sia prodotto da tutti ma che sia effettivamente rilevato solo dal 40% delle persone e che questa capacità sia una ipersensibilità olfattiva specifica a questo odore
1. Achille Campanile, Gli asparagi e l’immortalità dell’anima, Rizzoli, 1999.
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STUDI CLINICI DI RIFERIMENTO
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Study of antiurolithiatic activity of Asparagus racemosus on albino rats.
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BIBLIOGRAFIA UTILE
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
La lattoferrina è una glicoproteina in grado di legare e trasportare il ferro. L’assunzione di lattoferrina può essere utile per il fisiologico miglioramento del metabolismo del ferro specie nei casi di carenze riconducibili a cattiva alimentazione o situazioni di aumentato fabbisogno di ferro. L’anemia da carenza di ferro, detta anche anemia sideropenica, è una forma di anemia caratterizzata da un calo dei livelli ematici di emoglobina al di sotto dei valori normali a causa della carenza di ferro.
I segni e i sintomi più comuni dell’anemia da carenza di ferro sono: debolezza, pallore cutaneo, unghie friabili, svogliatezza, incapacità di concentrarsi, suscettibilità alle infezioni.
Le principali cause della anemia da creanza di ferro sono rappresentate da: dieta povera di ferro, aumentato fabbisogno per cause naturali (bambini, adolescenti, gestanti), perdita di sangue (mestruazioni, ulcera gastrica o duodenale).
Recenti studi clinici hanno dimostrato l’importanza e l’efficacia della somministrazione di lattoferrina per l’ipoferremia e l’anemia da carenza di ferro in gravidanza:
Uno studio condotto da Valenti P. et al nel 2008 (La lattoferrina per os, un’importante alternativa priva di effetti indesiderati, nella prevenzione e trattamento dell’ipoferremia ed anemia da carenza di ferro in gravidanza. Riv It Ost Gin, 17, pp. 783-790) aveva lo scopo di confrontare l’effetto della lattoferrina col solfato ferroso in donne incinte affette da ipoferremia ed anemia da carenza di ferro. Le partecipanti allo studio (n. 259) sono state suddivise in 3 gruppi randomizzati:
– lattoferrina (2 capsule da 100 mg al giorno), per 30 gg;
– solfato ferroso (una compressa da 520 mg/die), per 30 gg;
– gruppo di controllo (donne che non hanno assunto né l’uno né l’altro).
A differenza del gruppo di controllo, le donne che hanno assunto lattoferrina e solfato ferroso hanno mostrato valori dell’emoglobina e del ferro plasmatico totale significativamente aumentati (p<0.01 vs basale). In particolare, nel gruppo relativo alla lattoferrina si è rilevato un marcato miglioramento dei parametri ematologici, specialmente del ferro plasmatico totale (p<0.01 vs solfato ferroso). In 90 donne incinte che hanno assunto lattoferrina (200 mg/die) dal momento dell’insorgenza dell’ipoferremia e/o dell’anemia fino al termine della gestazione, si sono osservati valori eccellenti per ematocrito, emoglobina, ferro plasmatico totale e ferritina plasmatica al momento del parto. I valori ematici erano tali da non richiedere nessuna ulteriore supplementazione di ferro; la tollerabilità è stata ottima. Al contrario, nelle donne trattate con solfato ferroso è aumentata significativamente solo la concentrazione dell’emoglobina mentre, accanto a un non significativo incremento del numero di globuli rossi e della concentrazione di ferro plasmatico totale, si è osservata una significativa riduzione della ferritina plasmatica: il 95% delle donne ha lamentato nausea e crampi allo stomaco. Nel gruppo di controllo tutti i parametri considerati sono diminuiti.
Anche in altre ricerche scientifiche la lattoferrina è stata associata ad una miglior tollerabilità rispetto al solfato ferroso, non evidenziando alcun effetto indesiderato (Paesano R. et al., 2006. Oral administration of lactoferrin increases hemoglobin and total serum iron in pregnant women. Biochem Cell Biol, 84 (3), pp. 377-380)
DA SAPERE
La Gravidanza o gestazione è lo stato della donna che porta nel proprio utero il prodotto della fecondazione. Il termine gravidanza deriva dall’aggettivo latino gravidus che significa “gravato, appesantito” (derivato a sua volta dall’agg. gravis “pesante”). Attualmente sussistono due diverse posizioni in merito all’inizio della gravidanza, situandolo in momenti diversi.
1. L’Organizzazione mondiale della Sanità fissa l’inizio della gravidanza al momento dell’impianto dell’embrione nell’endometrio della parete uterina.
2. Per alcuni studiosi invece la gravidanza inizia con il concepimento, cioè coincide con il momento in cui lo spermatozoo incontra l’uovo maturo nella tuba e lo feconda.
Tali posizioni diverse sono solo apparentemente formali, e possono influenzare le decisioni legislative in materia di interruzione della gravidanza e di contraccezione post-coitale, e hanno ripercussioni su molti aspetti della bioetica (4) La durata della gravidanza è di circa 280 giorni (40 settimane). Il conteggio delle settimane di gravidanza, risultando non sempre possibile determinare l’esatto momento del concepimento, avviene dal primo giorno dell’ultima mestruzione. Le beta-HCG, dosabili nel sangue e nelle urine, sostanze ormonali sulla base delle quali si diagnostica la gravidanza, sono evidenziabili dalla II settimana dal concepimento (IV settimana di età gestazionale).
Già a partire dagli anni ’60, in seguito all’acquisizione della teratogenicità della talidomide, si è iniziato a raccomandare di evitare l’uso di farmaci, specie se di recente introduzione in terapia, nella prima fase della gravidanza. A livello pratico però questa raccomandazione non risolve il problema della teratogenicità dei farmaci, per una ragione molto semplice: la gravidanza viene riconosciuta solo tardivamente (dopo 5-6 settimane) e di conseguenza la terapia farmacologica in atto viene interrotta troppo tardi. In linea generale possiamo affermare che gli effetti tossici dei farmaci sono tanto più gravi e potenzialmente dannosi quanto più rapida è la crescita, la riproduzione e la differenziazione delle cellule: il rischio quindi è massimo quando la somministrazione del farmaco avviene durante il periodo della blastogenesi (dal concepimento al 14° giorno di gravidanza) e della embriogenesi (dalla 2a settimana e fino al 3° mese di gravidanza).
Nel caso comunque sia necessario il ricorso a farmaci durante la gravidanza (ad es. per delle patologie della gestante: diabete, epilessia, cardiopatia, gestosi o infezioni delle vie urogenitali ominaccia di Aborto) si devono evitare quei farmaci per i quali si è a conoscenza o se ne presume un nesso causale con alterazioni dell’embrione e/o feto. Danni al feto si possono avere anche con l’uso cronico di caffeina, alcol, fumo: donne che fumano possono ad es. andare incontro più facilmente al distacco della placenta con morte del feto o a parto prematuro ed infezioni del feto.
BIBLIOGRAFIA UTILE
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
L’allicina, o diallil tiosulfinato, è il principio attivo più importante e rappresentativo dell’aglio (Allium sativus). Questa sostanza non si riscontra nel bulbo integro, ma si forma quando gli spicchi che lo costituiscono – detti bulbilli – vengono tagliati, masticati o altrimenti triturati. In seguito a queste azioni meccaniche, dai succhi vacuolari si libera un enzima, chiamato allinasi, che agisce su un amminoacido, l’alliina, trasformandolo in allicina. A sua volta, questa sostanza instabile è precorritrice del disolfuro di diallile, una molecola volatile che origina dalla perdita di un atomo di ossigeno dalla molecola di allicina. Grazie all’elevata volatilità, il disolfuro di diallile conferisce all’aglio tritato il tipico odore pungente.
Il Diallil Tiosulfinato è un composto solforganico precursore del disolfuro di diallile (DADS) in grado di aumentare la concentrazione di glutatione intracellulare. Il glutatione è un tripeptide naturale, vale a dire una sostanza costituita da tre amminoacidi (cisteina, acido glutammico e glicina).
Attraverso una serie di reazioni la Cisteina viene trasformata grazie all’azione di 2 importanti enzimi: cistationina-beta-sintasi (CBS) e cistationina-gamma-liasi (CSE) in idrogeno solforato prodotto al livello arterioso con particolare riferimento alla circolazione periferica.
L’idrogeno solforato (H2S) è infatti un vero e proprio mediatore gassoso pro-erettogeno che, attraverso l’apertura dei canali potassio ATP (K ATP), con conseguente aumento del transfer di ioni CA++, produce attraverso un preciso meccanismo di iperpolarizzazione sulle cellule muscolari lisce, un effetto di rilassamento sulle stesse. Il rilassamento della muscolatura liscia periferica determina a sua volta il richiamo di sangue con conseguente fenomeno dell’erezione.
STUDI CLINICI
Therapeutic applications of organosulfur compounds as novel hydrogen sulfide donors and/or mediators (Xianfeng Gu and Yi Zhun Zhu)
Hydrogen sulfide, once considered as toxic gas, is now recognized as an important biological mediator. The deficiency of hydrogen sulfide could lead to various pathological changes, such as arterial and pulmonary hypertension, Alzheimer’s disease, gastric mucosal injury and liver cirrhosis. However, excessive production of hydrogen sulfide, by using inorganic hydrogen sulfide donors such as NaHS, may contribute to the pathogenesis of inflammatory diseases, septic shock, cerebral stroke and mental retardation in patients with Down syndrome. Therefore, an increasing interest in organic molecules that are capable of regulating the formation of hydrogen sulfide has extended in recent years. Allium vegetables are one natural source of organic sulfur-containing compounds and have been widely investigated regarding their therapeutic applications, and it has been proven that the ingredients of garlic, such as diallyl disulfide, diallyl trisulfide and S-ally cysteine act as hydrogen sulfide donors or mediators in pharmaceutical studies. In addition, S-propargyl cysteine (ZYZ-802) and S-propyl cysteine, two synthetic cysteine analogs, have been examined and could be used to treat ischemic heart disease via modulation of the hydrogen sulfide pathway. In addition, drugs containing hydrogen sulfide-releasing moieties have been synthesized and widely reported in recent years, such as S-nonsteroidal anti-inflammatory drugs and the derivative of Lawesson’s reagents, which exhibit varied biological effects in experiments. As cystathionine β-synthase and cystathionine γ-lyase are the enzymes that are able to catalyze the production of endogenous hydrogen sulfide from cysteine, their inhibitors, such as dl-propylargylglycine and β-cyanoalanine, have been frequently used in studies on the biological mechanism of hydrogen sulfide. All these hydrogen sulfide donors, mediators and inhibitors have provided useful tools in the research of a variety of biological effects and are promising drug candidates of hydrogen sulfide.
Traduzione: Il solfuro di idrogeno, un tempo considerato come gas tossico, è ormai riconosciuto come un importante mediatore biologico. La carenza di acido solfidrico può infatti portare a varie patologie, come l’ipertensione arteriosa e polmonare, la malattia di Alzheimer, la lesione della mucosa gastrica e la cirrosi epatica. Tuttavia, la produzione eccessiva di acido solfidrico, utilizzando inorganici donatori di idrogeno solforato, come NAHS, può contribuire alla patogenesi delle malattie infiammatorie, shock settico, ictus cerebrale e ritardo mentale nei pazienti con sindrome di Down. Pertanto nel corso degli anni si è assistito ad un crescente interesse delle varie molecole organiche che sono in grado di regolare la formazione di idrogeno solforato. L’aglio è una fonte naturale di composti contenenti zolfo organici che sono stati ampiamente studiati per quanto riguarda le loro applicazioni terapeutiche, ed è stato dimostrato che i princìpi attivi in esso contenuti, quali il Diallile diosulfinato, diallil trisolfuro e S-alleato possono agire come donatori di idrogeno solforato o suoi mediatori. Inoltre, S-propargil cisteina (ZYZ-802) e S-propile cisteina, due analoghi sintetici della cisteina, sono stati esaminati e potrebbero essere utilizzati per il trattamento di cardiopatia ischemica mediante la modulazione della via di idrogeno solforato. Inoltre, i farmaci contenenti idrogeno disolfuro sono stati sintetizzati e ampiamente riportato negli ultimi anni, come farmaci anti-infiammatori non steroidei. Come cistationina β-sintasi e cistationina γ-liasi sono gli enzimi che sono in grado di catalizzare la produzione endogena di solfuro di idrogeno da cisteina, loro inibitori, quali dl-propylargylglycine e β-cyanoalanine, sono stati frequentemente utilizzati negli studi sul meccanismo biologico di idrogeno solforato. Tutti questi “donatori”, mediatori e inibitori di idrogeno solforato hanno fornito strumenti utili nella ricerca di una varietà di effetti biologici e sono promettenti droghe candidate di idrogeno solforato.
Hydrogen sulfide mediates the vasoactivity of garlic (Gloria A. Benavides, Giuseppe L. Squadrito, Robert W. Mills, Hetal D. Patel, T. Scott Isbell, Rakesh P. Patel, Victor M. Darley-Usmar, Jeannette E. Doeller and David W. Kraus)
Abstract: The consumption of garlic is inversely correlated with the progression of cardiovascular disease, although the responsible mechanisms remain unclear. Here we show that human RBCs convert garlic-derived organic polysulfides into hydrogen sulfide (H2S), an endogenous cardioprotective vascular cell signaling molecule. This H2S production, measured in real time by a novel polarographic H2S sensor, is supported by glucose-maintained cytosolic glutathione levels and is to a large extent reliant on reduced thiols in or on the RBC membrane. H2S production from organic polysulfides is facilitated by allyl substituents and by increasing numbers of tethering sulfur atoms. Allyl-substituted polysulfides undergo nucleophilic substitution at the α carbon of the allyl substituent, thereby forming a hydropolysulfide (RSnH), a key intermediate during the formation of H2S. Organic polysulfides (R-Sn-R′; n > 2) also undergo nucleophilic substitution at a sulfur atom, yielding RSnH and H2S. Intact aorta rings, under physiologically relevant oxygen levels, also metabolize garlic-derived organic polysulfides to liberate H2S. The vasoactivity of garlic compounds is synchronous with H2S production, and their potency to mediate relaxation increases with H2S yield, strongly supporting our hypothesis that H2S mediates the vasoactivity of garlic. Our results also suggest that the capacity to produce H2S can be used to standardize garlic dietary supplements.
Results: Garlic-induced H2S production and GSH and GSSG levels. Representative polarographic traces of garlic-induced H2S production in 20% (vol/vol) RBCs in anoxic 10 mM PBS with 50 μM DTPA, with (black line) and without (blue line) 10 mM glucose (Glc), with sequential 1 mg/ml garlic additions at arrows, compared with the same garlic additions to 10 mM PBS and 50 μM DTPA alone in the absence of RBCs (red line) (pH 7.35) at 37°C. (B) HPLC analysis of GSH (black bars) and GSSG (expressed in GSH equivalents; white bars) in 40% (vol/vol) RBCs subject to no treatment, 10 mM glucose (Glc), 10 mM glucose and 1 mg/ml garlic, 1 mg/ml garlic alone, 10 mM IAA, and 10 mM IAM; each bar represents the mean ± SD of three to five experiments.*, GSH and GSSG levels are statistically different compared with levels in untreated RBCs by Student’s t test (P ≤ 0.01). (C and D) Representative polarographic traces of H2S production in anoxic 10 mM PBS with 50 μM DTPA in the absence of RBCs, with 2 mM each GSH, cysteine (Cys), homocysteine (Hcys), or N-acetylcysteine (NAC) (pH 7.35) at 37°C upon addition of 1 mg/ml garlic at arrow (C) and garlic-induced H2S production in 20% (vol/vol) RBCs with 10 mM glucose previously treated with 10 mM IAA (blue line) or 10 mM IAM (red line) compared with untreated RBCs (black line) with 1 mg/ml garlic additions at arrows (D).
Potent activation of nitric oxide synthase by garlic: a basis for its therapeutic applications (Das I, Khan NS, Sooranna SR)
Abstract: Garlic (Allium sativum L.) is thought to have a variety of therapeutic applications including inhibition of platelet aggregation. Many of the therapeutic actions of garlic parallel the physiological effects of nitric oxide and may be explained by its ability to increase nitric oxide synthase activity intracellularly. Our studies showed that both water and alcoholic extracts of garlic are very potent inhibitors of platelet aggregation induced by epinephrine and ADP. Similar dilutions of garlic extract also activated nitric oxide synthase activity in isolated platelets in vitro. The same extract was also very effective in activating nitric oxide synthase activity in placental villous tissue. The addition of garlic extracts increased nitric oxide synthase activity in a dose-dependent manner. Nitrite levels in the supernatants of incubated placental villous tissue were similarly increased. Activation of calcium-dependent nitric oxide synthase and the subsequent production of nitric oxide is probably the most novel mechanism yet claimed by which garlic can exert its therapeutic properties. PMID: 7555034 [PubMed – indexed for MEDLINE]
LETTERATURA SCIENTIFICA DI RIFERIMENTO
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Funzionalità articolare – Contrasto di stati di tensione localizzati
Ministero della Salute (decreto 9 luglio 2012, aggiornato con decreto 27 Marzo 2014)
Azione prevalente: antiflogistica e antidolorifica.
La Boswellia Serrata è un genere di piante appartenente alla famiglia delle Burseraceae, originaria delle regioni subtropicali dell’Africa e dell’Arabia Saudita. La gommoresina fresca, ottenuta per incisione della corteccia, indurisce lentamente e mantiene la sua trasparenza ed il suo odore aromatico, simile a quello dell’incenso (Boswellia carterii). La gommoresina, che rappresenta la parte medicinale della pianta, contiene un olio essenziale (16%), i cui costituenti principali sono -tujene e p-cimene ed acidi triterpenici pentaciclici (50%), denominati acidi boswellici, che sono considerati i principi attivi della boswellia. Gli acidi boswellici includono l’acido-boswellico, l’acido cheto-boswellico, l’acido acetil-11-cheto-boswellico e l’acido 3-oxo-tirucallico.
Agli Acidi Boswellici vengono attribuite proprietà antinfiammatorie, antireumatiche e antidolorifiche, perciò sono indicati per combattere l’artrosi e anche l’artrite reumatoide in fase iniziale, in quanto bloccano la formazione dei leucotrieni (inibendo l’enzima 5-lipossigenasi), responsabili e mediatori chimici dell’infiammazione (Farmacia al naturale”, di Barbara Ricciardi, pubbl. su Sapere&Salute, anno 8, febbraio 2003, num.42, pag.18-19).
Gli effetti antinfiammatori sono stati collegati alla loro abilità di inibire la biosintesi dei leucotrieni: si è potuto osservare infatti in diversi modelli sperimentali di infiammazione tra cui l’edema indotto nella zampa di alcuni topi, tramite agenti irritanti quali carragenina e destrano e la pleurite indotta da carragenina. Nel modello sperimentale che studiava gli effetti sulla pleurite, si è osservato che la boswellia era in grado di inibire l’infiltrazione dei leucociti polimorfonucleati ed inoltre gli acidi boswellici erano in grado di proteggere i topi dal danno epatico indotto da endotossina. Infatti gli acidi boswellici sono dei potenti e selettivi inibitori della lipossigenasi, l’enzima responsabile della biosintesi dei leucotrieni.
L’acido cheto-boswellico inibisce poi l’attività dell’elastasi leucocitaria umana (le elastasi sono proteinasi coinvolte nel processo di infiammazione cronica).
METANALISI
Numerosi sono gli studi clinici che sono stati condotti al fine di valutare l’efficacia della Boswellia in diverse malattie estati infiammatori come l’artrite reumatoide, l’asma, la malattia di Crohn e la colite ulcerosa. Ne riportiamo qui sotto alcuni:
1) Kimmatkar e coll. nel 2003 hanno condotto uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco esaminando 80 soggetti affetti da asma bronchiale, ai quali è stata somministrata la Boswellia S. per un periodo di 6 settimane (gruppo sperimentale) e se ne sono comparati i risultati con un gruppo di controllo, che ha assunto solo placebo. Al termine dello studio si sono così ottenuti risultati positivi nel gruppo sperimentale rispetto al gruppo di controllo.
2) Una metanalisi condotta nel 2008 ha valutato quale fosse l’effetto antiflogistico della boswellia analizzando gli studi clinici fino al momento pubblicati. Sono stati inclusi solo gli studi clinici controllati riguardanti la boswellia da sola, usando il punteggio di “Jadad” per valutare la qualità metodologica degli studi. Gli studi inclusi nella metanalisi sono stati 7 e riguardavano l’utilizzo della boswellia in patologie quali: asma bronchiale, artrite reumatoide, morbo di Crohn, osteoartrite e retto colite ulcerosa. In tutti questi studi l’estratto di Boswellia Serrata è risultato essere superiore al placebo nell’alleviare la sintomatologia di questi pazienti, con una tollerabilità riferita come molto elevata. Da tale metanalisi si è pertanto potuto concludere la boswellia sia efficace in parecchie malattie degenerative a impronta infiammatoria nell’uomo (Ernst E. et al. Frankincense: systematic review. BMJ. 337: a2813, 2008).
STUDI CLINICI
Sono riportati alcuni studi in vitro effettuati sugli animali che dimostrano l’azione flogistica e antidolorifica degli Acidi Boswellici, in grado di ostacolare in modo dose dipendente la formazione di leucotriene B4 a partire dall’acido arachidonico in leucociti peritoneali di topo. Tale azione è dovuta all’inibizione selettiva della 5-lipo-ossigenasi, che interviene già a dosi di 5 microgrammi/ml, mentre non sembra capace di influenzare la ciclo-ossigenasi e la 12-lipo-ossigenasi. La Boswelli Serrata si è potuto inoltre verificare in vitro, che è in grado di inibire le elastasi e le ialuronidasi, enzimi proteolitici notoriamente distruttivi, prodotti dai leucociti richiamati per fenomeni chemiotattici laddove sia presente un’infiammazione. Per questo motivo l’azione della Boswellia a livello articolare non è solo sintomatica ma anche curativa, poiché è in grado di ridurre l’assottigliamento della cartilagine articolare.
EFFETTI COLLATERALI: rari casi di reazioni allergiche cutanee.
CONTROINDICAZIONI: nessuna conosciuta.
BIBLIOGRAFIA
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Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Il Cranberry (Vaccinium Macrocarpon Ait. cosiddetto “Mirtillo Americano) è abbondante nel sottobosco con terreno siliceo e quindi acido in mezza montagna, in tutto l’emisfero settentrionale, se ne utilizzano le foglie e le bacche raccolte in estate. È un frutto ricchissimo di Antocianine, delle quali almeno sette sono state identificate e sono: cianidina, delfinidina, pelargonidina, malvidina, peonidina, irsutidina e petunidina. Contiene inoltre: flavonoidi, tannini, zuccheri semplici e complessi, acidi organici e fenolici.
Ricchissima è la letteratura che ne dimostra la potente: azione anti-infettiva urinaria = potente antisettico
Indicazioni principali: infezioni delle vie urinarie inferiori.
L’azione antibatterica del Cranberry è stata talvolta attribuita alla sua capacità di acidificare l’urina, ma numerosi studi successivi hanno dimostrato che il pH urinario rimane pressoché inalterato in seguito all’assunzione di alcune dosi di questo estratto. Studi più recenti si sono concentrati sulla possibile inibizione dell’adesione batterica alla mucosa della vescica dei vari batteri patogeni, responsabili di tali infezioni, fra cui anche l’Escherichia coli (l’agente patogeno che è più spesso responsabile di tali patologie).
L’adesione viene facilitata dalle fimbrie (strutture simili ai flagelli, ma più corti e rigidi, che permettono ai batteri di aderire all’ambiente in cui si trovano), le quali producono adenosine che si legano a specifici recettori presenti sulle cellule dell’epitelio della vescica. È stato dimostrato che il mirtillo americano è in grado di provocare un’inibizione irreversibile dell’adesione di un ceppo di Escherichia coli che esprime due tipi di fimbrie (tipo 1 e tipo P); si ritiene che il fruttosio possa essere responsabile dell’inibizione della fimbria di tipo 1. In altri studi è stato poi dimostrato che le proantocianidine estratte dal mirtillo americano inibiscono l’adesione di ceppi di E. coli con fimbrie di tipo P. Tale azione antiaderente, favorendo la fisiologica eliminazione delle popolazioni batteriche anomale, può contribuire a contrastare la colonizzazione dell’intestino e della vescica da parte di questi agenti potenzialmente patogeni. Questo meccanismo d’azione è dovuto alla presenza delle proantocianidine, in particolare quelle del tipo A2, le quali sono capaci di inibire l’adesività dell’Escherichia Coli sulla parete interna vescicale di circa l’80 % dopo 2 ore dalla I assunzione. Ciò avviene Questo attraverso un processo di antagonizzazione sulle adesine che sono localizzate nelle fimbrie presenti sulla superficie batterica, e sono capaci di aderire a specifici recettori monosaccaridici e/o polisaccaridici situati sulla superficie delle cellule dell’epitelio vescicale.
È molto importante sottolineare che il CRANBERRY contiene proantocianidine con legami di “tipo A”, mentre moltissimi altri alimenti sono ricchi di proantocianidine (PACs) con legami di “tipo B”. Ciò è importante in quanto le PACs di tipo A sono in grado di interferire con le fimbrie di E. coli, mentre quelle di tipo B non hanno alcun effetto antiadesivo (Howell AB – A-type cranberry proanthociandins and uropathogenic bacterial anti-adhesion activity –Phytochemistry 2005; 66: 2281-91).
Nel 2004 l’Autorità francese per la sicurezza degli alimenti ha riconosciuto al Cranberry importanti proprietà salutari, dovute proprio ed in particolare alle proantocianidine (PACs) di cui le bacche sono ricchissime, che favoriscono l’eliminazione con le urine dei ceppi batterici patogeni, fra cui il principale, l’Escherichia coli, in quanto ne impediscono l’adesione alle pareti del tratto urinario.
Numerosi studi clinici condotti in vitro ed in vivo hanno dimostrato che il Cranberry è in grado di inibire l’adesione dei colibacilli alla parete dell’intestino e della vescica (ciò spiega la sua efficacia come antidiarroico e disinfettante urinario). Qui sotto riportati alcuni di questi:
EFFETTO ANTIADESIVO SUL BATTERIO “ESCHERICHIA COLI” (batterio che è più spesso responsabile delle infezioni del tratto urinario)
1)Uno studio effettuato sui topi da Ofek I. et al. (Anti Escherichia coli adhesin activity of cranberry and blueberry juices. New Engl. J. Med. 324, 1599, 1991ù), ha dimostrato che l’estratto di Cranberry è in grado di inibire di ben l’80% l’adesività dell’Escherichia coli all’epitelio vescicale mediata dalle adesine. Tali adesine sono localizzate nelle fimbrie presenti sulla superficie batterica e sono capaci di aderire a specifici recettori monosaccaridici e/o polisaccaridici situati sulla superficie delle cellule dell’epitelio vescicale
2) Uno studio in vitro (Pinzon-Arango P.A. et al. Role of Cranberry on Bacterial Adhesion Forces and Implications for Escherichia coli-Uroepithelial Cell Attachment. J Med Food. 2009 Mar 3.) che valutava il meccanismo d’azione antiadesivo del Cranberry e della sua sull’Escherichia coli sia non fimbriata (HB101) sia fimbriata (HB101 pDC1) ha mostrato che entrambi i preparati testati riducevano la capacità adesiva dei germi alle cellule ospiti, in particolare per la forma fimbriata BH101 pDC1, in modo dose dipendente. Tale effetto è risultato essere reversibile, perché nel momento in cui i batteri venivano fatti crescere senza esporli più al Cranberry, riprendevano ad aderire normalmente alle cellule. Lo studio ha confermato pertanto che il Cranberry ha azione antiadesiva nei confronti dell’Escherichia coli, in particolare per le sue forme fimbriate.
3) Un altro studio, effettuato in vitro, ha valutato la capacità del Cranberry non solo anti-adesiva sull’Escherichia coli ma anche capacità di ridurne la proliferazione (Lin B. et al. Iron chelation by cranberry juice and its impact on Escherichia coli growth. 2010 Aug 30) ed è stato così dimostrato che il mirtillo americano è in grado non solo di ridurne la proliferazione cellulare, con alterazioni nell’espressione genica di geni associati al trasporto del ferro e agli enzimi metabolici essenziali ma anche una diminuzione della sintesi di ATP e dell’attività di un enzima come la fumarato idratasi.
È importante ricordare che l’Escherichia coli e lo Staphylococcus species (produttori di biofilm) sono i batteri più comunemente responsabili delle infezioni urinarie ricorrenti di cui molti pazienti cateterizzati soffrono. Alla luce di tali premesse è stato condotto uno studio clinico per valutare la capacità dell’estratto di Cranberry di inibire la formazione di biofilm da parte di questi batteri ed è stato dimostrato che non solo il Cranberry inibiva tale formazione ma riusciva anche a ridurre la crescita dei germi gram positivi (Staphylococcus) ma non di quelli gram negativi (Escherichia), con MIC comprese tra 0,02 e 5 mg/ml. Pertanto le conclusioni a cui sono giunti gli autori sono che l’estratto di Cranberry può essere utile contro la crescita e la produzione di biofilm dei batteri che causano le infezioni urinarie da catetere (Laplante K.L. et al. Effects of Cranberry Extracts on Growth and Biofilm Production of Escherichia coli and Staphylococcus species. Phytother Res. 2012 Feb 1. doi: 10.1002/ptr.4592)
AZIONE ANTAGONISTA SULLO “STREPTOCOCCO”
AZIONE ANTAGONISTA SUL BATTERIO “PHORPHYROMONAS GINGIVALIS” (principale batterio responsabile delle patologie parodontali)
La parodontite è un’infiammazione dei tessuti parodontali, che determina una perdita d’attacco dei denti rispetto all’alveolo, con conseguente formazione di tasche parodontali, mobilità dentale, sanguinamento gengivale, ascessi e suppurazioni, fino alla perdita di uno o più denti.
Questo studio ha usato fibroblasti gengivali, che venivano incubati per 6 giorni con un materiale non dializzabile ad alto peso molecolare derivato dal Cranberry in presenza o meno di LPS. Sono stati valutati i danni cellulari, la produzione di IL6 e di metallo proteinasi 3 e l’attivazione dell’NF-KappaB. Dai risultati ottenuti si è potuto evidenziare che il Cranberry non aveva alcuna citotossicità né da solo né associato al LPS. Il Cranberry alla concentrazione di 50 microg/ml inibiva la sintesi di p65 indotta dal LPS (p<0,003) e la produzione di metallo proteinasi 3 (p<0,02) ed inoltre stimolava la IL6 costitutiva o stimolata dal LPS (p<0,0001) ma inibiva la IL6 normale fibroblastica (p<0,01). Gli Autori concludono pertanto affermando che il cranberry inibisce la produzione di metallo proteinasi 3 e l’attivazione dell’NF-KappaB e modula quella di IL6 nei fibroblasti gengivali stimolati col LPS (Tipton D.A. et al. Effects of cranberry components on human aggressive periodontitis gingival fibroblasts. J Periodontal Res. 2012 Oct 28. doi: 10.1111/jre.12023.)
AZIONE ANTAGONISTA SULLA CANDIDA ALBICANS (fungo responsabile della Candidosi)
La candida (o candidosi) è un’infezione piuttosto comune provocata dalla candida albicans, un fungo saprofita normalmente presente in diversi distretti del corpo umano (bocca, vagina, …) che in determinate condizioni può diventare patogeno (ossia causa di malattia).
CISTITE, INFEZIONI VESCICALI E DELLE VIE URINARIE
Uno dei disturbi più frequenti riguardanti le vie urinarie, soprattutto nella donna, è senz’altro la cistite, cioè l’infiammazione della mucosa vescicale, su base infettiva, molto fastidiosa, dolorosa, irritante, spesso frequente o ciclica, che colpisce 1 donna su due in età fertile. Circa l’85% delle infezioni delle basse vie urinarie (vescica ed uretra) è causato dall’Escherichia coli, un batterio che si trova nell’intestino. Soprattutto nella donna, a causa della stretta vicinanza dello sbocco dell’uretra all’ano, si possono creare condizioni favorevoli al passaggio dei batteri nelle vie urinarie e in particolare nella vescica, circostanza facilitata anche dalla brevità dell’uretra femminile.
UTILIZZO DEL CRANBERRY PER PAZIENTI “CATETERIZZATI”
EQUILIBRIO FLORA BATTERICA INTESTINALE NEL BAMBINO E SULLA BATTERIURIA IN GRAVIDANZA
METANALISI
LETTERATURA SCIENTIFICA UTILE
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Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
La Dimetossi-diidrossi-aporfina è una sostanza di natura Alcaloidea estratta da una pianta sempreverde, Peumus Boldus Molina, originaria del Cile e del Perù appartenente all’ordine delle Laurales.
I farmaci per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna comprendono il gruppo degli alfa-bloccanti o alfa litici, il gruppo degli inibitori della 5alfa-reduttasi e la mepartricina. I farmaci di prima linea per l’ipertrofia prostatica (IPB) sono rappresentati dagli alfa-bloccanti o alfa-litici. Questi farmaci bloccano i recettori alfa1 adrenergici presenti nel tessuto urogenitale, prostata e soprattutto collo vescicale, inducendo miorilassamento. La loro azione farmacologica è rapida, evidente già dopo la prima dose, ma si mantiene solo fino a quando il farmaco viene somministrato: cessata la terapia, si annulla l’effetto terapeutico.
Approssimativamente, la terapia con alfa-litici comporta un miglioramento di 4-6 punti del punteggio IPSS (scala di valutazione dei sintomi dell’ipertrofia prostatica); sul lungo periodo non riduce però il rischio complessivo di ritenzione acuta d’urina o di intervento chirurgico (l’alfuzosin ha evidenziato un trend positivo, dopo 2 anni di terapia, di riduzione del rischio di intervento chirurgico in pazienti con un rischio di progressione di IPB maggiore rispetto a quello osservato nella popolazione dello studio MTOPS) (Emberton et al., 2008; Vallancien et al., 2008; Roehrborn, 2006).
Gli alfa-bloccanti agendo sulla componente dinamica e non meccanica, ritardano la progressione dell’IPB ma non sono in grado di bloccarla (McConnell et al., 2003; Boyle, 2004).
GLI ALFA-1 BLOCCANTI SELETTIVI
Il profilo farmacodinamico: i recettori alfa-1 sono localizzati nella muscolatura liscia non vascolare (come il trigono vescicale e gli sfinteri, il tratto gastrointestinale e gli sfinteri, la capsula della prostata e gli eventuali adenomi e gli ureteri) e nei tessuti non muscolari (come il sistema nervoso centrale, il fegato e i reni). Alcuni recettori alfa-1 sono localizzati nel corpo della vescica ma la maggior parte si trova sulla capsula della prostata o, in caso di IPB, sull’adenoma della prostata, oltreché nel trigono vescicale. Bloccando questi recettori è quindi possibile ridurre l’ostruzione dell’orifizio vescicale senza limitare la contrattilità della vescica Esistono almeno tre sottotipi di recettori alfa-1 adrenergici: l’alfa1A, l’alfa 1B e l’alfa 1D. Circa il 70% dei recettori alfa-1 della prostata appartiene al sottotipo alfa 1A (Emberton et al., 2008; Vallancien et al., 2008; Roehrborn, 2006) (McConnell et al., 2003; Boyle, 2004).
Uno studio condotto nel 2005 dal Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Valencia (Spagna) evidenzia la capacità della “8-NH2-Boldina” di antagonizzare selettivamente gli adrenocettori α1A e α1B (Planta Med. 2005 Oct;71(10):897-903. 8-NH2-boldine, an antagonist of alpha1A and alpha1B adrenoceptors without affinity for the alpha1D subtype: structural requirements for aporphines at alpha1-adrenoceptor subtypes. Ivorra MD1, Valiente M, Martínez S, Madrero Y, Noguera MA, Cassels BK, Sobarzo EM, D’Ocon P.).
Planta Med. 2005 Oct;71(10):897-903. 8-NH2-boldine, an antagonist of alpha1A and alpha1B adrenoceptors without affinity for the alpha1D subtype: structural requirements for aporphines at alpha1-adrenoceptor subtypes. Ivorra MD1, Valiente M, Martínez S, Madrero Y, Noguera MA, Cassels BK, Sobarzo EM, D’Ocon P.
Abstract: Structure-activity analysis of 21 aporphine derivatives was performed by examining their affinities for cloned human alpha (1A), alpha (1B) and alpha (1D) adrenoceptors (AR) using membranes prepared from rat-1 fibroblasts stably expressing each alpha (1)-AR subtype. All the compounds tested competed for [ (125) I ]-HEAT binding with steep and monophasic curves. The most interesting compound was 8-NH (2)-boldine, which retains the selective affinity for alpha(1A)-AR (pKi = 6.37 +/- 0.21) vs. alpha(1B)-AR (pKi = 5.53 +/- 0.11) exhibited by 1,2,9,10-tetraoxygenated aporphines, but shows low affinity for alpha(1D)-AR (pKi < 2.5). Binding studies on native adrenoceptors present in rat cerebral cortex confirms the results obtained for human cloned alpha (1)-AR subtypes. The compounds selective for the alpha (1A) subtype discriminate two binding sites in rat cerebral cortex confirming a mixed population of alpha (1A)- and alpha (1B)-AR in this tissue. All compounds are more selective as inhibitors of [ (3)H]-prazosin binding than of [ (3)H]-diltiazem binding to rat cerebral cortical membranes. A close relationship was found between affinities obtained for cloned alpha (1A)-AR and inhibitory potencies on noradrenaline-induced contraction or inositol phosphate accumulation in tail artery, confirming that there is a homogeneous functional population of alpha(1A)-AR in this vessel. On the contrary, a poor correlation seems to exist between the affinity of 8-NH (2)-boldine for cloned alpha (1D)-AR and its potency as an inhibitor of noradrenaline-induced contraction or inositol phosphate accumulation in rat aorta, which confirms that a heterogeneous population of alpha (1)-AR mediates the adrenergic response in this vessel.
Un’altra pubblicazione sul “British Journal of Pharmacology” ha indagato la possibile determinante strutturale di selettività della boldina ed i suoi derivati per l’adrenocettore alfa-1A (Br J Pharmacol. 1996 Dec;119(8):1563-8. A possible structural determinant of selectivity of boldine and derivatives for the alpha 1A-adrenoceptor subtype. Madrero Y1, Elorriaga M, Martinez S, Noguera MA, Cassels BK, D’Ocon P, Ivorra MD.
Br J Pharmacol. 1996 Dec;119(8):1563-8. A possible structural determinant of selectivity of boldine and derivatives for the alpha 1A-adrenoceptor subtype. Madrero Y1, Elorriaga M, Martinez S, Noguera MA, Cassels BK, D’Ocon P, Ivorra MD.
Abstract: The selectivity of action of boldine and the related aporphine alkaloids, predicentrine (9-O-methylboldine) and glaucine (2,9-O-dimethylboldine) and alpha 1-adrenoceptor subtypes was studied by examining [3H]-prazosin competition binding in rat cerebral cortex. WB 4101 and benoxathian were used as selective alpha 1A-adrenoceptor antagonists. 2. In the competition experiments [3H]-prazosin (0.2 nM) binding was inhibited by WB 4101 and benoxathian. The inhibition curves displayed shallow slopes which could be subdivided into high and low affinity components (pKi = 9.92 and 8.29 for WB 4101, 9.35 and 7.94 for benoxathian). The two antagonists recognized approximately 37% of the sites with high affinity from among the total [3H]-prazosin specific binding sites. 3. Boldine, predicentrine and glaucine also competed for [3H]-prazosin (0.2 nM) binding with shallow and biphasic curves recognizing 30-40% of the sites with high affinity. Drug affinities (pKi) at the high and low affinity sites were, 8.31 and 6.50, respectively, for boldine, 8.13 and 6.39 for predicentrine, and 7.12 and 5.92 for glaucine. The relative order of selectivity for alpha 1A-adrenoceptors was boldine (70 fold alpha 1A-selective) = predicentrine (60 fold, alpha 1A-selective) > glaucine (15 fold, alpha 1A-selective). 4. Pretreatment of rat cerebral cortex membranes with chloroethylclonidine (CEC, 10 microM) for 30 min at 37 degrees C followed by thorough washing out reduced specific [3H]-prazosin binding by approximately 70%. The CEC-insensitive [3H]-prazosin binding was inhibited by boldine monophasically (Hill slope = 0.93) with a single pKi value (7.76). 5. These results suggest that whereas the aporphine structure shared by these alkaloids is responsible for their selectively of action for the alpha 1A-adrenoceptor subtype in rat cerebral cortex, defined functional groups, namely the 2-hydroxy function, induces a significant increase in alpha 1A-subtype selectivity and affinity.
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Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
La Dioscorea Villosa, nota anche come igname selvatico o wild yam, è una pianta appartenente alla famiglia delle Dioscoreacee, originaria del Canada e dei Paesi del sud degli Stati Uniti. Le specie appartenenti al genere Dioscoreacee sono molto numerose (circa 600), e tutte caratterizzate dalla notevole presenza di sapogenine e per questo motivo sono state utilizzate dall’industria farmaceutica per l’emisintesi di steroidi.
La Diosgenina, il più importante princìpio attivo della Dioscorea, è quindi un importante precursore degli steroidi, presente in natura sotto forma del glicoside dioscina o di altri eterosidi che vengono poi idrolizzati in ambiente acido e per questo è stata da sempre utilizzata dall’industria farmaceutica come materia prima per la produzione di ormoni.
Le parti utilizzate per l’estrazione della droga sono le radici e i rizomi; la raccolta avviene nel periodo autunnale, prima della fioritura. I costituenti principali della dioscorea sono saponine (in particolar modo dioscina e diosgenina), fitosteroli e tannini.
Industrialmente la diosgenina ricavata dalla Dioscorea Villosa è largamente impiegata per la produzione sia diprogesterone che di DHEA.
Il DHEA (deidroepiandrosterone) è un ormone steroideo prodotto principalmente dalla corteccia surrenale, stimolata dall’ACTH, a sua volta prodotto dall’ipofisi. Piccole quantità di DHEA sono inoltre prodotte dai testicoli, dalle ovaie e dalle cellule gliali.
Il DHEA è uno dei precursori del testosterone; ricordiamo infatti che nell’organismo umano la sintesi degli steroidi avviene nel modo seguente: colesterolo –> pregnenolone –> DHEA –> androstenedione –> testosterone.
Il DHEA circola a livello ematico soprattutto come solfato (DHEA-S); nel plasma circa l’80% di questo solfato è legato alla albumina, il restante 20% invece è legato a lipoproteine. La quantità di DHEA contenuta nell’organismo umano è correlata all’età del soggetto. Dopo la nascita si assiste a una significativa diminuzione dei livelli plasmatici di DHEA, livelli che rimangono bassi per il primo quinquennio. A partire dai cinque anni i livelli tornano ad aumentare per raggiungere l’apice verso i venticinque anni; da questo momento in poi si assiste a una progressiva diminuzione della concentrazione di DHEA nell’organismo; tale diminuzione comincia a diventare rapida a partire dai quaranta anni. A ottant’anni di età, il livello non supera il 10% del massimo raggiunto a venticinque anni. A causa di questa diminuzione dei suoi livelli plasmatici con l’età, molti autori hanno supposto che il DHEA fosse fortemente coinvolto con i processi che regolano l’invecchiamento, tant’è che la somministrazione di DHEA è stata consigliata alla fine degli anni ’90 come metodo anti-invecchiamento. Il DHEA sembra essere coinvolto in numerose funzioni biologiche tra le quali ricordiamo la regolazione e la stimolazione delle funzioni sessuali, la produzione di mielina (la guaina che avvolge i nervi), l’attivazione dell’enzima G6PD che contribuisce alla riduzione delle cellule adipose etc.
STUDI CLINICI
1) Diosgenin ameliorates palmitate-induced endothelial dysfunction and insulin resistance via blocking IKKβ and IRS-1 pathways. Kang Liua, Wenwen Zhaoa, Xuejiao Gaoa, Fang Huanga, Junping Koub,Baolin Liua
Abstract
2) Dehydroepiandrosterone in the treatment of erectile dysfunction: a prospective, double-blind, randomized, placebo-controlled study. Werner J Reiter, Armin Pycha, Georg Schatzl, Alexej Pokorny Doris M Gruber Johannes C Huber Michael Marberger
Abstract
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Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Drenaggio dei liquidi corporei – Funzionalità delle vie urinarie
Ministero della Salute (decreto 9 luglio 2012, aggiornato con decreto 27 Marzo 2014)
Comunemente conosciuta con il nome di “Erniaria”, appartiene alla famiglia delle Caryophyllaceae e se ne utilizzano le parti aeree. Ha fusti eretti e molto ramosi, le foglie sono opposte, ellittiche o lineari. L’Herniaria è una perenne sempreverde, con fogliame minuto verde lucente, che vegeta dal mare alle regioni alpine in tutto il nostro paese. La troviamo nei luoghi erbosi e ben soleggiati, in zone piuttosto ardide, lungo le scarpate della ferrovia.
Nell’Estratto della monografia della Commissione E (1986) si legge:
«L’Erniaria viene utilizzata nel trattamento e nella prevenzione di malattie e disturbi dei reni e delle vie urinarie, delle vie respiratorie, contro le neuriti, la gotta ed i reumatismi, nonché per depurare il sangue».
COSTITUENTI PRINCIPALI
– Saponine triterpeniche (3-9%)
– Flavonoidi (0,2-1,2%)
– Cumarine (0,1-0,4%): Umbelliferone, erniarina
– Tannini; tracce vitamina C (foglie)
IMPIEGO TERAPEUTICO: affezioni vie urinarie.
La Erniaria sarebbe dotata di proprietà diuretiche (Dorvault) ed uricosuriche (Ledere), il che la rende adatta al trattamento della litiasi uratica.
STUDI CLINICI DI RIFERIMENTO
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Effect of aqueous extract from Herniaria hirsuta L. on experimentally nephrolithiasic rats.
Atmani F1, Slimani Y, Mimouni M, Aziz M, Hacht B, Ziyyat A.
Abstract: Despite considerable progress in medical therapy, there is no satisfactory drug to treat kidney stones. Therefore, this current study is aimed to look for an alternative treatment by using Herniaria hirsuta on nephrolithiasic rats as a preventive agent against the development of kidney stones. The experiment was conducted in normal and calcium oxalate (CaOx) nephrolithiasic rats during 3 weeks. Several parameters were followed weekly including water intake, urinary volume and pH, some urinary chemistries, and crystalluria. At the end, kidneys were analyzed by light microscope. The results showed that water intake and urinary volume increased in nephrolithiasic rats, but their urinary pH decreased especially in the third week of treatment. Urinary oxalate increased significantly during the second week for untreated rats and remained constant in rats treated with Herniaria decoction. However, urinary calcium decreased significantly in week 2 in untreated rats and remained constant in treated rats. Qualitative analysis of crystalluria showed that untreated rats excreted large CaOx monohydrate and few dihydrate crystals while treated animals excreted mostly small CaOx dihydrate crystals. The examination of kidney sections revealed that CaOx deposition was limited in treated rats when compared to untreated ones. These results obtained in vivo confirmed the beneficial effect of Herniaria hirsuta and may justify its use as a preventive agent against the formation of calcium oxalate kidney stones.
J Urol.2004 Oct;172(4 Pt 1):1510-4.
Extract from Herniaria hirsuta coats calcium oxalate monohydrate crystals and blocks their adhesion to renal epithelial cells. Atmani F1, Farell G, Lieske JC.
Abstract:
PURPOSE – The interaction of calcium oxalate crystals with renal epithelial cells is a critical event in kidney stone formation. In this study we assessed the effect of aqueous extract from Herniaria hirsuta on the adhesion of calcium oxalate monohydrate (COM) crystals to cultured renal cells.
MATERIALS AND METHODS – Madin Darby canine kidney cells were used as a model for studying the adhesion of radioactive COM crystals in the presence and absence of plant extract.
RESULTS – COM crystal binding to cells was inhibited by extract in a concentration dependent manner. Prior exposure of crystals but not cells to extract blocked crystal binding, suggesting that plant molecules can coat and exert their effect at the crystal surface. Crystal attachment appeared related to membrane fluidity since crystal adhesion increased at higher vs lower temperatures (37C vs 0C) and Herniaria extract altered crystal adhesion only under conditions of increased fluidity (increased temperature). Extract also displaced a significant portion of prebound crystals without apparent effects on cell function or the morphology of preexisting calcium oxalate crystals. Herniaria extract exerted no adverse or toxic effect on cells, which proliferated normally in its presence even at relatively high concentrations.
CONCLUSIONS – Our current data suggest a mechanism whereby Herniaria hirsuta extract used in traditional medicine might prevent and possibly eliminate preexisting kidney stones. Further characterization of the active compound(s) could identify a new candidate drug for patients with nephrolithiasis.
BJU Int.2003 Jul;92(1):137-40.
Prophylaxis of calcium oxalate stones by Herniaria hirsuta on experimentally induced nephrolithiasis in rats. Atmani F1, Slimani Y, Mimouni M, Hacht B.
Abstract:
OBJECTIVE – To evaluate the prophylactic potential of a herbal decoction from Herniaria hirsuta, a medicinal plant widely used in Morocco to treat kidney stones, by assessing the effect of oral administration in experimentally induced calcium oxalate (CaOx) nephrolithiasis in rats.
MATERIAL AND METHODS – Two groups of six rats each were rendered nephrolithic by treating with ethylene glycol 0.75% and ammonium chloride 1% for 3 days, and then ethylene glycol only for 3 weeks. Maintained on ethylene glycol, one group of rats was also given 1 mL/day of the plant decoction, while the others received 1 mL of water instead for 2 weeks. Urine samples (24 h) were collected individually at 1, 3, 7, and 14 days for physicochemical analysis. On completing the treatment the kidneys were collected and analysed by light microscopy.
RESULTS – The water intake and diuresis decreased in the treated rats; there was no significant difference in urinary pH between the groups. Urinary chemistry was apparently unaffected by the plant extract, except for the magnesium content, which was higher in treated rats. Crystalluria was characterized by the excretion of large CaOx monohydrate and dihydrate crystals in untreated, but smaller crystals in treated rats. The histology showed large deposits of CaOx crystals in all parts of the kidney in untreated rats but with almost no deposits in those of treated rats.
CONCLUSION – H. Hirsuta has an impressive prophylactic effect on caox stones in nephrolithic rats; the effect did not seem to be mediated by biochemical or diuretic changes.
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Funzionalità articolare
Ministero della Salute (decreto 9 luglio 2012, aggiornato con decreto 27 Marzo 2014)
L’artiglio del diavolo è dato dalle escrescenze laterali delle radici (dette radici secondarie) di Harpagophytum procumbens, una pianta perenne rampicante proveniente dalle regioni desertiche del Sud-Africa, che viene usata nella medicina tradizionale sudafricana come bevanda amaro-tonica e per la cura di disturbi, quali: febbre, malattie reumatiche, fastidi allo stomaco e dolori da parto. Per la maggior parte deriva da raccolta spontanea anche se sono già in corso colture sperimentali; per la prima volta fu introdotta in Europa nel 1953. I princìpi attivi dell’artiglio del diavolo sono i Glucosidi iridoidi tra cui il principale è l’Arpagoside, tra gli altri ricordiamo anche l’arpagide e la procumbide; contiene inoltre una quantità variabile di carboidrati ed alcuni fenoli (acetoside, isoacetoside). Gli iridoidi dell’Harpagophytum sono caratterizzati da un elevato potere amaricante ed attribuiscono alla pianta un indice di amaro compreso tra 5.000 e 12.000.
La Farmacopea Europea IV riporta che la pianta (Harpagophyti radix), dal caratteristico sapore amaro, deve contenere non meno dell’1,2% di arpagoside, calcolato sulla droga essiccata.
IMPIEGHI CLINICI E MECCANISMO D’AZIONE
Nella medicina tradizionale sudafricana la pianta è sempre stata utilizzata come tonico-amaro nei disturbi digestivi, nelle emopatie, come antipiretico e come analgesico. L’uso attuale dell’Artiglio del diavolo si è indirizzato verso il trattamento di affezioni reumatiche, artritiche e nelle lombalgie (Barnes J. Anderson L.A. Phillipson J.D. Devil’s claw. Herbal Medicines. third ed. Pharmaceutical Press 2007:207-214.
(Analgesico-antinfiammatorio-antireumatico)
È noto da tempo che gli estratti di Harpagophytum procumbens svolgono una potente azione analgesica periferica, antiflogistica ed antiartritica.
Il fitocomplesso di Harpagophytum procumbens è oggi utilizzato nel trattamento sintomatico di patologie quali:
Artrite reumatoide e Osteoartrite (Brien S, Lewith GT, McGregor G. Devil’s Claw (Harpagophytum procumbens as a treatment for osteoarthritis: a review of efficacy and safety. J Altern Complement Med. 2006 Dec; 12(10):981-93).
Artrosi e altre malattie reumatiche (Setty AR, Sigal LH. Herbal medications commonly used in the practice of rheumatology: mechanisms of action, efficacy, and side effects. Semin Arthritis Rheum. 2005 Jun; 34(6):773-84.; Warnock M, McBean D,
Suter A, Tan J, Whittaker P. Effectiveness and safety of Devil’s Claw tablets in patients with general rheumatic disorders. Phytother Res. 2007 Dec; 21(12):1228-33).
Malattie infiammatorie (McGregor G, Fiebich B, Wartenberg A, Brien S, Lewith G, Wegener T. Devil’s Claw (Harpagophytum procumbens): An Anti-Inflammatory Herb with Therapeutic Potential. Phytochemistry Reviews 2005; 4 (1):47-53)
Con azione analgesica (Eichler O, Koch C. Antiphlogistic, analgesic and spasmolytic effect of harpagoside, a glycoside from the root of Harpagophytum procumbens. Arzneimittel-Forschung 1970; 20: 107-9) ed antireumatica (McLeod DW, Revell P, Robinson BV. Investigations of Harpagophytum procumbens (Devil’s Claw) in the treatment of experimenta.
Le proprietà analgesiche-antinfiammatorie di Harpagophytum procumbens sono state ampiamente confermate da studi recenti (Grant L, McBean DE, Fyfe L, Warnock AM. A review of the biological and potential therapeutic actions of Harpagophytum procumbens. Phytother Res. 2007 Mar; 21(3):199-209).
Il potere antinfiammatorio viene esplicato anche a livello topico, grazie ad una elevata diffusione a livello transcutaneo, come recentemente mostrato da uno studio ex vivo di epidermide di porcellino utilizzando un sistema di diffusione cellulare noto come cella di Franz (Ouitas NA, Heard CM. A novel ex vivo skin model for the assessment of the potential transcutaneous anti-inflammatory effect of topically applied Harpagophytum procumbens extract. Int J Pharm. 2009 Jul 6; 376(1-2):63-8.)
Un altro studio in vitro ha valutato l’effetto dell’Artiglio del diavolo sulla flogosi indotta dal lipopolisaccaride su fibroblasti di topo L929. Si è visto che l’estratto di Artiglio inibisce la sintesi della prostaglandina E2 e dell’Ossido nitrico inibendo l’aumento della COX2 stimolato dal lipopolisaccaride e l’espressione del RNA messaggero (mRNA) specifico per il gene inducibile Ossido Nitrico Sintetasi (iNOS). Questi risultati indicano che l’Artiglio possiede un’azione antiflogistica che si esplica mediante la soppressione della COX2 e l’espressione della iNOS (Jang M.H. Lim S, Han SM, Park HJ, Shin I, Kim JW, Kim NJ, Lee JS, Kim KA, Kim CJ. Harpagophytum procumbens suppresses lipopolysaccharide-stimulated expressions of cyclooxygenase-2 and inducible nitric oxide synthase in fibroblast cell line L929. J Pharmacol Sci. 2003: 93(3):367-71)
AZIONE ANTIFLOGISTICA
L’effetto analgesico dell’Artiglio del diavolo sembra di tipo periferico piuttosto che centrale, visto che è in grado di inibire le contrazioni addominali indotte da acido acetico (writhing test), mentre non è efficace nel test della piastra calda “hot plate test” (test di riferimento di analgesia specifico per i farmaci analgesici ad azione centrale).
La Commissione E tedesca riporta che l’artiglio del diavolo è indicato per il trattamento della dispepsia, per l’anoressia e per il trattamento adiuvante delle malattie muscoloscheletriche degenerative.
METANALISI
CONCLUSIONI
L’artiglio del diavolo, come sopra ampiamente dimostrato, ha un effetto pertanto simile a quello dei farmaci cosiddetti “FANS” (farmaci anti-infiammatori non steroidei), comunemente utilizzati per curare le malattie infiammatorie ma il suo meccanismo d’azione è differente: l’artiglio del diavolo ha infatti un periodo di latenza piuttosto lungo e deve essere pertanto assunto per almeno tre settimane prima di vederne gli effetti, ma può essere preso anche per mesi perché è ben tollerato. L’importante è utilizzare estratti secchi titolati in Arpagoside per esser sicuri dell’apporto di Arpagoside assunto effettivamente.
Anche la Boswellia Serrata sotto forma di estratto secco titolato in acidi boswellici è un ottimo antinfiammatorio e, oltre a bloccare il processo reumatico che porta al dolore, svolge un effetto protettivo sulle cartilagini perché le difende dall’attacco dei radicali liberi (vedi “Boswellia Serrata”).
TOLLERABILITÀ / EFFETTI COLLATERALI
Da studi tossicologici effettuati sugli animali l’Artiglio del diavolo risulta essere caratterizzato da una elevata tollerabilità e privo di rilevanti effetti collaterali. Tuttavia risulta controindicato ed è quindi fortemente scosigliato il suo utilizzato in pazienti affetti da gastrite acuta e/o ulcera peptica vista la presenza di sostanze amaricanti (Vlachojannis J, Roufogalis BD, Chrubasik S. Systematic review on the safety of Harpagophytum preparations for osteoarthritic and low back pain. Phytother Res. 22(2):149-52, 2008). Non sono noti dalla letteratura studi clinici controllati in donne in gravidanza e durante l’allattamento; tuttavia uno studio recente condotto in vivo riferisce una possibile azione spasmogenica ed uterotonica sulla muscolatura uterina (Mahomed IM, Ojewole JA. Uterotonic effect of Harpagophytum procumbens DC (Pedaliaceae) secondary root aqueous extract on rat isolated uterine horns. J Smooth Muscle Res. 2009 Oct; 45(5):231-9), per cui è opportuno in questi casi non utilizzare il prodotto (Adverse Effects of Herbal Drugs. De Smet PAGM, Keller K, Hänsel R, Chandler RF (eds), Springer-Verlag, Berlin, 1992, pag. 98-99). Non sono note in letteratura interazioni con altri farmaci o alimenti. Gli effetti indesiderati riportati in letteratura riguardano per lo più lievi disturbi gastrointestinali, verificatisi in soggetti sensibili e a dosaggi particolarmente elevati. Alcuni testi riportano poi che l’artiglio del diavolo è controindicato nei diabetici (per l’azione ipoglicemica) ed in gravidanza (per l’azione ossitocica), pur se non esistono dati scientifici a supporto di tali asserzioni.
LETTERATURA SCIENTIFICA A SUPPORTO
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
L’acetilcisteina (o N-acetilcisteina) è un derivato N-acetilato dell’amminoacido cisteina.
L’acetilcisteina è un mucolitico derivato da un amminoacido naturale ad azione fluidificante sulle secrezioni mucose o mucopurulente delle vie respiratorie. L’attività pronta ed intensa dell’acetilcisteina sulla componente mucosa delle secrezioni è conseguente alla presenza nella molecola di un gruppo sulfidrico libero (-S-H) in grado di aggredire e scindere i legami S-S responsabili dell’aggregazione delle proteine e quindi dell’alta viscosità del muco. L’attività dell’acetilcisteina sull’eventuale componente purulenta delle secrezioni è invece dovuta alla sua capacità di depolimerizzare gli acidi nucleici. L’acetilcisteina svolge inoltre un’azione di potenziamento del sistema antiossidante rappresentato dal glutatione, uno dei più importanti meccanismi di difesa intracellulare. Nei confronti di questi ultimi, l’acetilcisteina è in grado di ridurre significativamente l’adesività alle cellule della mucosa e, promuovendo la sintesi cellulare del glutatione è anche in grado di inattivare composti istolesivi quali le polveri e gli inquinanti atmosferici che vengono frequentemente inalati ad es. dal cavallo. L’acetilcisteina quale donatore di elettroni, antagonizza i radicali liberi dell’ossigeno, principali responsabili del fenomeno infiammatorio degenerativo.
ATTIVITÀ MUCOLITICA
L’attività mucolitica dell’acetilcisteina è dovuta, probabilmente, alla sua capacità di ridurre i ponti disolfuro tipici delle proteine presenti nel muco (mucoproteine) e questo in ragione della presenza nella molecola di un gruppo sulfidrilico libero in grado di interagire con questi legami responsabili dell’aggregazione delle proteine e quindi dell’alta viscosità del muco. Come risultato dell’interscambio sulfidrile-disolfuri le molecole glicoproteiche vengono scisse in unità più piccole dotate di minore viscosità per cui vengono modificate le caratteristiche reologiche con conseguente più facile espettorazione. L’attività sulla componente purulenta delle secrezioni viene attribuita alla capacità di questo composto di depolimerizzare gli acidi nucleici (Ballarini G., et al. (1971). Nuova Veterinaria, 47 (3) 151)
Tale azione mucolitico-drenante si ritiene pertanto possa essere importante, anche per il drenaggio del liquido prostatico (1,2,3)
Per molti anni la terapia delle sindromi prostatiche croniche ha consigliato l’assunzione di androgeni, con il principio teorico di stimolare la libido, promuovere l’attività sessuale, rendere più abbondante e fluido il secreto prostatico per favorirne l’eliminazione ed evitarne il ristagno. Con lo stesso principio e forse più efficacemente si possono somministrare farmaci secretolitici e fluidificanti (tipo l’acetilcisteina) (C. Pavone, M. Pavone-Macaluso)
SUPPORTI
1. Medical Research Paper. 03. November 2011 The Role of Oxidative Stress in Prostate Inflammation Pain and Effects of N-acetylcysteine. II.Chinese Urologists’ Knowledge of and Practice Patterns for Chr.
2. Medical Research Paper. 03. November 2011Suppression of human prostate cancer PC-3 cell growth by N-acetylcysteine involves over-expression of Cyr61. Lee YJ, Lee DM, Lee CH, Heo SH, Won SY, Im JH, Cho MK, Nam HS, Lee SH.
3. Suppression of human prostate cancer PC-3 cell growth by N-acetylcysteine involves over-expression of Cyr61. Lee YJ, Lee DM, Lee CH, Heo SH, Won SY, Im JH, Cho MK, Nam HS, Lee SH. Effects of phenylethyl isothiocyanate and its metabolite on cellcycle arrest and apoptosis in LNCaP human prostate cancer cells. Hwang ES, Lee HJ.
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Il nostro sistema digestivo contiene centinaia di organismi vitali, ci sono più di 400 specie batteriche che vivono nel tratto gastrointestinale, costituendo un vero e proprio ecosistema. La salute della flora gastrointestinale è essenziale non solo per il buon funzionamento dell’intestino ma anche per rafforzare le naturali difese dell’organismo contro l’invasione di batteri e germi patogeni. È per questo che le colture alimentari di probiotici o “batteri amici” sono un modo sano e senza effetti collaterali per aiutare l’intestino e per sostenere la vitalità delle nostre naturali difese. Sembra che gli alimenti a base di “batteri amici” producano sostanze che uccidono i microbi e sopprimono la produzione di tossine nel tratto intestinale. Il Bifidobacterium bifidus, per esempio, produce acido lattico e acetico che abbassa il pH dell’intestino, creando così un ambiente intestinale ostile per altri batteri potenzialmente dannosi.
Per poter vivere, sopravvivere e moltiplicarsi, i microbi dannosi hanno bisogno di aderire alle pareti intestinali: i probiotici hanno proprio la capacità di aderire alle pareti intestinali, sottraendo così spazio vitale ai germi patogeni. Tutti gli esseri viventi, inclusi i batteri, hanno bisogno di cibo. I probiotici si distribuiscono nel sistema digestivo e mangiano quei cibi che altrimenti nutrirebbero i batteri dannosi.
L’uso regolare di probiotici di qualità toglie spazio ai germi patogeni. Negli ultimi anni, i ricercatori hanno trovato che i lattobacilli ingeriti oralmente possono stimolare l’attività delle cellule immunitarie, che si nutrono di cellule tumorali e dei microrganismi invasori.
Inoltre, l’Acidophilus DDS-1 produce notevoli quantità di acidophilina, il più potente antibiotico naturale.
SONO DAVVERO NECESSARI I PROBIOTICI?
Se vivessimo in condizioni ideali, la risposta sarebbe: «No». Ma, nella gran parte dei casi, la nostra dieta è costituita da cibi senza più vita, e purtroppo anche i cibi naturali e biologici crescono ormai in terreni troppo impoveriti per avere un sufficiente grado di vitalità. Consideriamo poi che la microflora gastrointestinale è distrutta non solo da una cattiva dieta, ma anche da fattori quali stress fisico ed emozionale, farmaci chimici, alterazioni ambientali, infezioni etc. Nelle condizioni odierne, i probiotici sono un aiuto alimentare efficace e senza effetti collaterali anche per mantenersi in forma.
Affinchè un probiotico sia ritenuto effettivamente efficace e di qualità, è importante che:
Comunque, per prolungarne la vitalità, è bene tenerli in frigorifero ma non congelarli, perché la congelazione, così come il calore, riduce la quantità di cellule vitali.
Come è noto, il Lactobacillus Acidophilus è il più importante batterio “amico” dell’intestino tenue e promuove l’ambiente ideale per l’appropriata digestione e assimilazione del cibo. La letteratura scientifica di seguito riportata, ha dimostrato che esso svolge anche molte altre ed importanti funzioni. Purtroppo al giorno d’oggi, a causa dell’impoverimento e del trattamento artificiale dei cibi, dell’inquinamento e dello stress, la gran parte delle persone ha una presenza scarsa di batteri amici negli intestini. Pertanto una supplementazione di Lactobacillus Acidophilus di buona qualità è diventata essenziale al giorno d’oggi non solo per prevenire l’insorgenza di malattie intestinali, ma anche per superare la disbiosi (termine generico per indicare un’alterazione della flora batterica) e restituire all’intero organismo quella funzionalità senza la quale diventa impossibile risolvere qualsiasi tipo di patologia.
Alcuni degli elementi che possono distruggere il Lactobacillus Acidophilus sono:
1. Eventi stressanti
2. Acqua trattata con cloro o fluoro
3. Cattive abitudini alimentari
4. Farmaci ad azione antibiotica e pillola anticoncezionale;
Per secoli i fermenti lattici sono stati utilizzati per la trasformazione e la conservazione degli alimenti (es. crauti, salsa di soia, yogurt, miso, ecc.). È ormai ampiamente risaputo e documentato che alcuni tipi di lattobacilli e bifidobatteri sono essenziali per mantenere uno stato di salute ottimale. Metchnikoff fu probabilmente il primo ricercatore che sottolineò nel 1908 (The Prolongation of Life. Ed. P. Chalmers Mitchell, G. P. Putnam’s Sons, The Knickerbocker Press, New York & London) come la straordinaria longevità degli abitanti dei Balcani fosse per buona parte dovuta all’assunzione di notevoli quantità di alimenti fermentati, i quali inibivano i microrganismi patogeni e disintossicavano l’organismo. 78 anni fa, nel 1925, iniziarono nell’Università del Nebraska le prime ricerche sul Lactobacillus acidophilus condotte da un’equipe di studiosi diretta dal Dr. Khem M. Shahani, i quali nel corso degli anni hanno pubblicato più di 60 studi scientifici sui L. acidophilus e L. bifidus (oggi rinominato Bifidobacterium bifidum) (Bhatia, V. 1991. Growth optimization of Lactobacillus acidophilus in whey, M.S. Thesis, Univ. of Nebraska, Lincoln). Gli antibiotici altresì non solo uccidono (quando non promuovono invece lo sviluppo di ceppi patogeni ancora più vitali e resistenti) i batteri che causano malattia, ma anche i “batteri amici” alterando l’equilibrio eubiotico della microflora gastrointestinale: il Lactobacillus Acidophilus ha proprio il potere di restaurare in breve tempo l’eubiosi intestinale.
Le proprietà benefiche del L. acidophilus sulla base di ampie e documentate ricerche pubblicate sulle più accreditate riviste scientifiche a livello internazionale, possono essere sintetizzate come segue:
ATTIVITÀ ANTIMICROBICA E ANTIVIRALE
Secondo Chaitow & Trenev (1990), di “tutti i benefici che deriviamo dalla loro presenza, nessuno è più importante delle incredibili potenzialità antibiotiche, antibatteriche, antivirali e antimicotiche possedute da alcuni batteri amici”. Secondo studi eseguiti dall’equipe del Prof. Shahani, “l’azione antimicrobica [dell’Acidophilus] è dovuta alla produzione di acido lattico, perossido di idrogeno e sostanze antibiotiche” (Chaitow & Trenev, p. 55). In particolare, il tipo DDS-1 produce anche acidophilina, il più potente tra gli antibiotici naturali. Produce anche, come gli altri tipi di Acidophilus, l’antibiotico Aci-dophilina. Gli studi di Shahani & colleghi hanno dimostrato una potente attività delle sostanze antibiotiche prodotte dall’Acidophilus nei confronti di, Escherichia Coli, Proteus mirabilis, e vari tipi di Clostridium, Salmonella, Shigella e Staphilococcus. Uno studio svolto da Gilli-land & Speck (J. of Food Protection, 40, pp.820-823, 1977), ha dimostrato che l’Acidophilus è antagonista alla crescita del batterio Staphilococcus aureus, della Salmonella typhimurium, del Clostridium perfringens fino al 98.2 di inibizione. In uno studio di Kageyama et al. (Bifidobacteria Microflora, 3, pp.29-33, 1984), 56 pazienti affetti da leucemia e sottoposti a chemioterapia, con intestini densamente popolati da batteri patogeni come klebsiella, citrobacter e Proteus vulgaris, sono stati divisi in due gruppi. Uno dei due gruppi è stato poi alimentato con una dose giornaliera di 2 miliardi di Acidophilus e 2 miliardi di Bifidus. Dopo 3 mesi, tutti i componenti di tale gruppo avevano intestini con una flora batterica intestinale normale. Non ci fu nessun cambiamento invece nel gruppo di controllo che non aveva assunto niente.
RAFFORZAMENTO DEL SISTEMA IMMUNITARIO
In uno studio condotto da Chaitow & Treney su alcuni topi di laboratorio, è stato dimostrato che gli animali ai quali erano state somministrate o iniettate colture di Acidophilus hanno manifestato un’attività macrofagica 3-4 volte superiore a quella ordinaria del gruppo di controllo, che invece non aveva assunto niente. Chaitow & Trenev affermano che non c’è ragione di ritenere che ciò non valga anche per gli esseri umani, come confermano vari studi.
VAGINITE E INFEZIONI URINARIE
Tradizionalmente, si usava inserire yogurt nella vagina di donne affette da vaginite, con buoni risultati. Questa pratica fu poi confermata dai famosi studi di Doderlein. La pratica può essere riprodotta utilizzando colture incapsulate di Acidophilus di qualità. Generalmente, comunque, le vaginiti così come le infezioni urinarie, implicano batteri patogeni che si diffondono negli organi sessuali, così come nella vescica e nell’uretra, a partire dagli intestini. Dunque, la supplementazione per via alimentare di batteri amici, sia Acidophilus che Bifidus, svolge un ruolo importante sia nella prevenzione che nella cura di tali condizioni.
ULTERIORE IMPORTANTE STUDIO CLINICO A SUPPORTO
Effetti inibitori di lisati di LACTOBACILLUS ACIDOPHILUS sull’attività citotossica di shiga-like toxin 2, prodotta dall’Escherichia Coli O157:H7. Università di Seul 2006
Lo scopo di questo studio era quello di verificare il livello attraverso il quale 4 lisati cellulari ottenuti dal Lactobacillus Acidophilus limitavano l’attività citotossica dell’Escherichia coli 0157:H7 in vitro ed in vivo. I risultati che emersero furono una significativa diminuzione dei livelli di virulenza dell’Escherichia coli 0157:H7. In accordo con i risultati ottenuti, si concluse che, il Lactobacillus Acidophilus, essendo in grado di attenuare la virulenza della tossina shiga-like toxin 2 prodotta dall’Escherichia coli 0157:H7, poteva costituire un valido supplemento all’alimentazione umana per la protezione e stabilizzazione intestinale.
LETTERATURA SCIENTIFICA DI RIFERIMENTO
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Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Azione tonica e di sostegno metabolico – Tonico (stanchezza fisica, mentale)
Ministero della Salute (decreto 9 luglio 2012, aggiornato con decreto 27 Marzo 2014)
Indicazioni principali: astenia sessuale
Azione principale: tonica a livello sessuale
La maca (Lepidium peruvianum G. Chacón, = L. meyenii Walpers) è una pianta erbacea annuale, ma per la formazione di radici di accumulo può essere definita perenne, nativa della Cordigliera delle Ande del Perù e della Bolivia. Oltre all’uso alimentare è da sempre utilizzata nella medicina popolare come ricostituente, per aumentare le facoltà fisiche e mentali. Le popolazioni andine dall’antichità la utilizzano anche per migliorare e risolvere problemi di fertilità e migliorare le prestazioni sessuali. Recenti ricerche hanno chiarito che l’ipocotile, o radice, ha una significativa influenza sulla libido negli esseri umani senza tuttavia modificare la quantità di testosterone circolante (Gonzales, Còrdova, Vega, Chung, Villena, Gònez, Castillo (2002). Effect of Lepidium meyenii (MACA) on sexual desire and its absent relationship with serum testosterone levels in adult healthy men. Andrologia 34, 367–37). Può inoltre contribuire a migliorare il tenore nutrizionale della dieta e supportare il vigore fisico, ed in ultima analisi il benessere in genere nelle attività umane, questo avviene (ovviamente) in caso di consistenti carenze alimentari dove, come è noto, le prime attività che sono compromesse sono quelle sessuali e riproduttive. Infatti la radice contiene il 60% di carboidrati ed almeno il 10% in proteine, oltre che vitamine ed una notevole gamma di microelementi.
Recenti studi effettuati in America dimostrano che la Maca dà dei benefici sulla vita sessuale, migliorandone appunto, le prestazioni. Viene utilizzata anche per il trattamento della disfunzione erettile e nell’impotenza maschile. Uno studio realizzato da associati all’università Peruana Cayetano Heredia, durato 3 mesi ha permesso di valutare l’efficacia della maca “Lepidium meyenii Walp”: l’esperimento è stato condotto su uomini di età compresa tra i 21 e 55 anni. Ad un gruppo é stata somministrata una quantità di estratto tra i 1500 e i 3000 mg di maca, all’altro gruppo invece una sostanza placebo. Entrambi i gruppi erano all’oscuro di cosa stavano in realtà assumendo. A partire dalla ottava settimana è stato avvertito un aumento considerevole del desiderio sessuale negli intervenuti ai quali era stato somministrato estratto di maca Lepidium meyenii Walp, questo senza che nei pazienti si avvertisse un aumento di ansia o tensione.
Numerosi medici americani prescrivono la maca ai loro pazienti, e ne hanno rilevato gli effetti positivi sulla vita sessuale di entrambi i sessi, in particolare incremento della libido e miglioramento delle prestazioni sessuali. Inoltre si è rivelata efficace e sicura nel trattamento delle disfunzioni erettili e dell’impotenza maschile, sia che si manifesti come stato patologico, sia che insorga fisiologicamente con l’avanzare dell’età.
L’azione afrodisiaca del Lepidium meyenii, è stata scientificamente provata per la prima volta, da uno studio condotto su diversi gruppi di ratti e topi con disfunzioni erettili. In quest’esperimento, è stata somministrata per 22 giorni, una dose orale di estratto lipidico purificato di maca, e il risultato è stato un incremento della funzionalità erettile in tutti gli animali trattati.
Da secoli la maca è impiegata per aumentare le capacità riproduttive di uomini e animali. Oggi si ritiene che tale azione sia dovuta alla presenza di quattro alcaloidi, macaina 1, 2, 3 e 4, che sono stati isolati e identificati nella radice, ma la cui formula non è ancora ben nota.
Esistono diversi studi clinici a riguardo: gli alcaloidi isolati, somministrati a ratti e topi di entrambi i sessi, hanno dimostrato di incrementare l’ovogenesi nelle femmine e la spermatogenesi nei maschi (MIGLIORAMENTO DEI PARAMETRI SESSUALI) e gli stessi risultati sono stati raggiunti con l’assunzione della radice essiccata. Gli effetti su ovaie e testicoli, compaiono già dopo 72 ore dalla somministrazione, e non sono stati attribuiti ad ormoni vegetali, ma probabilmente all’azione di tali alcaloidi sull’asse ipotalamo-ipofisario. L’aumento della fertilità maschile riscontrabile dopo l’assunzione della maca è imputabile, oltre che al miglioramento della funzionalità erettile, anche ad un incremento della motilità degli spermatozoi. Nella radice del Lepidium meyenii, infatti, vi è un elevato contenuto di fruttosio, un monosaccaride che fisiologicamente si trova in alta concentrazione nel liquido seminale, dove costituisce la fonte energetica degli spermatozoi.
AZIONE STIMOLANTE SESSUALE
PROPRIETÀ TERAPEUTICHE – STUDI CLINICI E IN VITRO
METANALISI
EFFETTI COLLATERALI: nessuno degno di nota.
CONTROINDICAZIONI: sconsigliata in gravidanza e durante l’allattamento.
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Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
LITHOSPERMUM ERYTHRORHIZON – Nella superficie esterna delle radici della pianta “Lithospermum”, appartenente alla famiglia delle Boraginaceae, è presente un naftochinone, la Shikonina, che può essere isolato e che svolge un ruolo importante di inibizione del processo infiammatorio. Come affermato in un recente studio clinico pubblicato nell’Aprile del 2014, la Shikonina è in grado infatti di inibire l’Interleuchina 17 (IL-17): una citochina altamente infiammatoria.
L’interleuchina 17A (proteina messaggera) è centrale nello sviluppo della psoriasi e dal momento che si trova in concentrazione elevata nella pelle colpita da questa malattia, l’ipotesi alla base degli studi clinici che sono stati effettuati per il trattamento di questa patologia, partono proprio dall’idea che le cellule T helper di tipo 17 giochino un ruolo patologico nella malattia poiché secernono molte citochine pro-infiammatorie, ivi inclusa l’interleuchina 17-A.
Anche in un altro importante recente studio (Leonardi C, et al. Anti-interleukin-17 monoclonal antibody ixekizumab in chronic plaque psoriasis. N Engl J Med 2012; 366: 1190-1199) si è concluso affermando che l’identificazione di IL-17A come bersaglio specifico può costituire un nuovo ed efficace approccio terapeutico per le persone che convivono con la psoriasi a placche da moderata a grave.
STUDI CLINICI
Int Immunopharmacol. 2014 Apr;19(2):327-33. doi: 10.1016/j.intimp.2014.01.027. Epub 2014 Feb 9. La Shikonina sopprime l’espressione di VEGF-IL-17 (interleuchina 17) indotta attraverso il blocco della trasmissione JAK2 / STAT3. Xu Y, Xu X, Gao X, Chen H, Geng L.
La manifestazione della interleuchina17 (IL-17) nei cheratinociti svolge un ruolo importante nella psoriasi (malattia cronica benigna della pelle caratterizzata da iperproliferazione dei cheratinociti e aumentata vascolarizzazione cutanea). La Shikonina, isolata dalla tradizionale pianta medica “Lithospermum erythrorhizon”, è da tempo considerata in possesso di diverse proprietà medicinali, ad azione antibatterica, miglioramento della guarigione delle ferite, azione anti-infiammatoria ed anti-tumorali. Tuttavia, gli effetti ed i meccanismi della Shikonina su VEGF nei cheratinociti mediata dalla segnalazione della IL-17, non sono ancora completamente chiariti. In questo studio, abbiamo studiato gli effetti e i meccanismi di regolazione della Shikonin su VEGF nei cheratinociti indotte da IL-17 sia in vitro che in vivo. I nostri risultati hanno dimostrato che Shikonina ha inibito significativamente IL-17 indotta, l’espressione della proteina in cellule HaCaT, la secrezione di VEGF da parte delle cellule HaCaT, JAK2 ed espressione STAT3, mentre ha “sovraregolato”l’espressione di SOCS1 in cellule HaCaT. Inoltre la Shikonina ha efficacemente soppresso l’interleuchina -17 sulla pelle stimolata dei topi (….). Questi risultati implicano che la Shikonina sopprime l’espressione di VEGF-IL-17 indotta sia in vitro che in vivo ed il meccanismo d’azione può essere correlato alla sua capacità di bloccare la trasmissione JAK2 / STAT3. Questi dati aiutano ad approfondire la nostra comprensione del ruolo della Shikonina nella inibizione dell’angiogenesi nelle malattie infiammatorie della pelle come la psoriasi.
Chinese Journal of Microbiology and Immunology Volume 31, ISSUE 08, 2011 The research of that Shikonin effects on VEGF production in IL-17-stimulated HaCaT cells.
Abstract
OBJECTIVE – To investigate whether IL-17 could stimulate the vascular endothelial growth factor (VEGF) production on HaCaT cells alone. We also investigated whether shikonin could inhibited the proinflamation effects of interleukin-17(IL-17) acting on HaCaT cells.
METHODS – We examined the expression of VEGF by double antibody sandwich enzyme-linked immunosorbent assay ( ELISA ) and realtime polymerase chain reaction(RT-PCR) in HaCaT cells and the cell supernatant. The viability of HaCaT cells in the drug group was detected by the Cell Counting Kit-8 (CCK-8).
RESULTS – The expression of VEGF in different time IL-17-stimulated groups on HaCaT cells and the cell supernatant were higher than the control group ( P<0.001 ). The expression of VEGF in different drug treatment groups on HaCaT cells and the cell supematant were lower than the stimulated group by IL-17 (P<0.001). The cell viability of different drug treatment groups have no significant difference (P>0.05).
CONCLUSION – We show that IL-17 specifically and time-dependently augmented and induced VEGF expression on HaCaT cells and the cell supernatant Then shikonin markedly inhibited the increase tengency of IL-17 effection on HaCaT cells and the cell supematant level.
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Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
È una specie rustica originaria dell’Asia e dell’Australia, nota volgarmente col nome di Fior di loto asiatico. È una pianta acquatica a crescita rapidissima. La Nuciferina è un alcaloide estratto dalla Nelumbo nucifera, che possiede un profilo farmacologico simile a quello della clorpromazina (farmaco antidopaminergico appartenente al gruppo delle Fenotiazine, sebbene le due molecole siano strutturalmente differenti (MACKO E, DOUGLAS B, WEISBACH JA. Studies on the pharmacology of nuciferine and related aporphines. Arch Int Pharmacodyn Ther.1972; 197: 261-273). Uno studio clinico effettuato sia su ratti che su topi ha dimostrato come la nuciferina (al dosaggio compreso tra 25-50 mg pro kg intraperitoneale) è in grado di produrre livelli di sedazione da “moderata” a “marcata” e ptosi. I riflessi rimanevano intatti e gli animali comunque continuavano a rispondere agli stimoli esterni. A dosi elevate invece (100-150 mg/kg, intraperitoneale) si manifestava catalessi e i ratti mantengono posture scomode artificialmente indotte dall’operatore. Gli Autori hanno pertanto potuto concludere che probabilmente la nuciferina agisce bloccando i recettori dopaminergici: in un ulteriore studio si è dimostrato che la nuciferina è in grado di inibire la stereotipia indotta dalle amfetamine, che, come è noto, è mediata dalla stimolazione dei recettori dopaminergici (BHATTACHARYA SK, BOSE R, GHOSH P, TRIPHATI VJ, RAY AB, DASGUPTA B. Psychopharmacological studies on (-) nuciferine and its Hofmann degradation product atherospermine. Psychopharmacol. 1978; 59: 29-33).
STUDI CLINICI
Effects of plant extract neferine on cyclic adenosine monophosphate and cyclic guanosine monophosphate levels in rabbit corpus cavernosum in vitro. Chen J, Liu JH, Wang T, Xiao HJ, Yin CP, Yang J. Department of urology, Tongji Hospital, Tongji Medical college, Huazhong university of science and Technology, Wuhan 430030, China
Studio: traduzione in italiano
Effetti dell’estratto vegetale di Nuciferina sui livelli di adenosina monofosfato ciclico e guanosina monofosfato ciclico nel corpo cavernoso del coniglio in vitro.
The Anti-Depressant Effect of Nelumbinis Semen on Rats under Chronic Mild Stress Induced Depression-Like Symptoms Moonkyu Kang, Dongwon Shin, Jung-Wan Oh, Chongwoon Cho, Hwa-Jin Lee,Dong-Won Yoon,Sang-Moon Lee, Jung-Hwan Yun, Hyun Choi, Seongkyu Park,Minkyu Shin, Moochang Hong and Hyunsu Bae, Purimed R&D Institute and College of Oriental Medicine Kyung-Hee University, Seoul, Korea
Studio: traduzione in italiano
L’effetto antidepressivo della Nelumbo Nucifera sui ratti sottoposti ad un lieve stress cronico (induzione di sintomi di depression-Like) Moonkyu Kang, Dongwon Shin, Jung-Wan Oh, Chongwoon Cho, Hwa-Jin Lee, Dong-Won Yoon, Sang-Moon Lee, Jung-Hwan Yun, Hyun Choi, Seongkyu Parco, Minkyu Shin, Moochang Hong e Hyunsu Bae, Purimed R & D Institute e † college of Oriental Medicine Kyung-Hee University di Seoul, Corea
Effect of Nelumbo nucifera on nitric oxide production and co-stimulatory molecules
D Mukherjee 1, TN Khatua 1, A Biswas 2, T Biswas 2, BP Saha 1, PK Mukherjee 1 School of Natural Product Studies, Jadavpur University, Kolkata-700 032, India.2. Division of Immunology and Vaccine Development, National Institute of Cholera and Enteric Diseases, P-33 C.I.T. Kolkata-700 010, India
Nelumbo nucifera Gaertn. (Nymphaeaceae) is a well known aquatic plant which has been used for the treatment of several disorders including inflammation, fever, cough etc. [1]. The hydro-alcoholic extract of Nelumbo nucifera rhizome (HENN) showed potent immunomodulatory effect on delayed type hypersensitivity (DTH), phagocytic response and neutrophil adhesion test [2]. The aim of this study is to evaluate the mechanism of immunomodulation involved for the extract and its three solvent fractions viz. ethyl-acetate (EANN), n-butanol (BUNN) and water (AQNN) using the in vitro models like nitric oxide (NO) production, expression of co-stimulatory molecules, e.g. CD40, CD80 and CD86 [3]. HENN, EANN, BUNN and AQNN inhibited in vitro NO production induced with lipopolysaccharides (LPS, 100ng/ml). The most significant (P<0.001) inhibition was observed for BUNN (5µg/ml) compared to control. Expression of CD40, CD80 and CD86 were observed based on the fluorescent intensity produced by the extract and its fractions. The mean fluorescent intensity (MFI) on treatment with CD40, CD80 and CD86 were observed but the maximum reduction of MFI with BUNN (P<0.001) were 19.57, 12.84 and 7.45 respectively. The results supports that BUNN was the most effective fraction of HENN and it acts similarly to that of dexamethasone, a standard immunosuppressive drug.
Studio: traduzione in italiano
Effetto della Nelumbo nucifera sulla produzione di ossido nitrico e di molecole co-stimolatorie
D Mukherjee 1, TN Khatua 1, A Biswas 2, T 2 Biswas, BP Saha 1, PK Mukherjee 1
1 School di prodotti naturali Studi, Università di Jadavpur, Calcutta-700 032, India
2 Division di Immunologia e Vaccine Development, Istituto Nazionale di colera e di malattie enteriche, P-33 CIT Kolkata-700 010, India
La Nelumbo nucifera Gaertn. (Nymphaeaceae) è una nota pianta acquatica che è stata usato per il trattamento di diverse malattie, tra cui l’infiammazione, febbre, tosse ecc. L’estratto idro-alcolico di Nelumbo nucifera rizoma (HENN) ha evidenziato un potente effetto immunomodulante sulla ritardata ipersensibilità (DTH), sulla risposta fagocitaria e sui test dei neutrofili. Lo scopo di questo studio è quello di valutare il meccanismo di immunomodulazione coinvolto per l’estratto e le sue tre frazioni di solventi vale a dire. etil-acetato (Eann), n-butanolo (BUNN) e acqua (AQNN) utilizzando i modelli in vitro come la produzione di ossido-nitrico (NO), l’espressione di molecole co-stimolatorie, ad esempio, CD40, CD80 e CD86. HENN, Eann, BUNN e AQNN, inibita in vitro la produzione di NO indotta con lipopolisaccaridi (LPS, 100ng / ml).
L’inibizione più significativa (P< 0.001) è stata osservata per BUNN (5 mcg / ml) rispetto al controllo. L’espressione di CD40, CD80 e CD86 è stata osservata sulla base dell’intensità di fluorescenza prodotta dall’estratto e dalle sue frazioni. L’intensità media di fluorescenza (MFI) è stata rilevata col trattamento che considerava CD40, CD80 e CD86, ma la riduzione più significativa della MFI si è avuta con BUNN (P< 0.001): erano rispettivamente pari a 19.57, 12.84 e 7.45. Questi risultati evidenziano che supporta BUNN è stata la frazione di HENN (NELUMBO NUCIFERA rizoma) più significativa e agisce in modo molto simile a quella di desametasone, standard farmaco immunosoppressivo.
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Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Il Licopene è uno dei principali carotenoidi ed è contenuto quasi esclusivamente nei Pomodori (Solanum lycopersicum), rappresentando circa il 50% di tutti i carotenoidi plasmatici.
Tra tutti i carotenoidi, il Licopene possiede la più elevata capacità anti-ossidante conosciuta (Gerster H.: The potential role of Lycopene for human health, J. Am.Coll. Nutr., 1997, 16, pp. 109-126) (Ribaya-Mercado J.D.: Skin Lycopene is destroyed preferentially over beta-Carotene during ultraviolet irradiation in humans, J. Nutr. 1995, 125, pp. 1854-1859).
Altra proprietà del Licopene, è la sua elevata presenza rispettivamente in: testicoli, ghiandole surrenali, e prostata. Il motivo non è noto; si sospetta comunque che una sua carenza possa essere alla base di patologie specifiche come i tumori. In tal senso, è stata osservata una marcata relazione inversa tra il livello di Licopene e tumore in sede prostatica (ma anche in sede gastrica e pancreatica), di qui il suggerimento di ricercare nel sangue le concentrazioni di Licopene, che dovrebbero essere molto basse nei pazienti con tumore (in maniera analoga a quanto già evidenziato da Cameron nel caso della vitamina C (Cameron E: Vitamin C and cancer: an overview, Int J Vitam Nutr Res Suppl 23:115-27, 1982).
Le quantità di Licopene presente nel plasma e nella cute sono confrontabili con quelle del beta-Carotene. Quando la cute viene sottoposta a stress ossidativo da radiazioni ultraviolette, una quantità maggiore di Licopene viene distrutta rispetto invece al beta-Carotene, suggerendo pertanto un ruolo più importante del Licopene come fattore anti-ossidativo, rispetto al beta-Carotene.
Il licopene, come altri carotenoidi, ha attività di prevenzione dei tumori 2 3 4.
Le prime ricerche in questo senso sono state stimolate da studi epidemiologici che hanno evidenziato una relazione tra consumo di frutta e vegetali in generale e diminuzione del rischio di certi tipi di cancro. Diversi studi pubblicati attribuiscono al licopene la capacità di ridurre il rischio di cancro alla prostata 2 4 5 6 7 8 nell’uomo, e studi sperimentali su topi suggeriscono che abbia la capacità di sopprimere la crescita di cellule tumorali mammarie 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18.
L’azione anticancro del licopene è stata investigata anche a livello gastroenterico 19 20 21 15 22 23, endometriale 24 25 e cutaneo 26 13 27 28 29 30. Uno studio del gennaio 2011 condotto presso il Dipartimento di Urologia, dell’Università della California-San Francisco, mostra che rispetto al placebo, 3 mesi di intervento con licopene o olio di pesce (omega 3) non ha alterato significativamente l’IGF-1 e COX-2 che sono l’espressione genica del microambiente normale della prostata negli uomini con carcinoma della prostata a basso peso. Tuttavia, un’ulteriore analisi con periodi di trattamento più prolungati dei profili di espressione genica globale, può mettere in luce la bioattività e la rilevanza di queste sostanze nel cancro della prostata, specialmente a livello di sorveglianza attiva dell’organismo 31.
Il Licopene è stato riscontrato essere particolarmente efficace nei confronti del carcinoma prostatico (Giovannucci E.: Intake of carotenoids and retinol in relation to risk of prostate cancer, J. Natl. Cancer Inst., 1995,87 (23), pp. 1767-1776)
In un altro Studio condotto all’Università dell’Illinois (Chicago), venne usato un campione di 32 pazienti affetti da cancro della prostata.
Tre settimane prima dell’intervento chirurgico i medici sottoposero tutti i pazienti a una dieta particolare a base di pasta con sugo al pomodoro, contenente 26,8 milligrammi di Licopene.
Prima e dopo le tre settimane controllarono il livello dell’antigene PSA nel loro sangue: nelle tre settimane precedenti l’intervento chirurgico, il PSA scese in media del 17,5%, e addirittura del 28,3% nei pazienti che avevano mangiato pasta al pomodoro con maggiore abbondanza (Longwer Chen: Oxidative DNA damage in prostate cancer Patients consuming tomato sauce-based entrees as a whole-food intervention, Journal of the National Cancer Institute Vol. 93, No. 24, pp. 1872-1879, 2001)
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Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Antiossidante
Ministero della Salute (decreto 9 luglio 2012, aggiornato con decreto 27 Marzo 2014)
La Punica granatum (Melograno) è una pianta della famiglia delle Punicaceae (o Lythraceae secondo la classificazione APG), originaria di una regione geografica che va dall’Iran alla zona himalayana dell’India settentrionale, e presente sin dall’antichità nel Caucaso e nell’intera zona mediterranea. Si usano, per le proprietà medicinali, la corteccia delle radici prelevata in primavera o in autunno, e la scorza dei frutti raccolta in autunno, ricche di tannino, tagliate a pezzetti e fatte essiccare all’aria. Il succo di melograno è ancora più ricco di antiossidanti e flavonoidi (Resveratrolo) del vino.
Il Succo del frutto è potente antiossidante, antibatterico e anticancerogeno ricco di acido ellagico: L’Università di Los Angeles ad esempio ha scoperto che un bicchiere di succo di melagrana contrasta il tumore grazie all’acido ellagico accelera l’apoptosi (il suicidio delle cellule malate).
I principi attivi, funzionali del frutto del melograno sono le sue sostanze fenoliche, in particolar modo l’acido ellagico. Tra gli altri fenoli presenti bisogna ricordare: delfinidin 3-glucoside, delfinidin 3,5-glucoside, cianidin 3-glucoside, cianidin 3,5-diglucoside, cianidin 3-glucosio, pelargonidin, delfinidin, cianidin 3,5-diglucoside, delfinidin 3-glucoside.
Proprio grazie all’acido ellagico e alle sostanze fenoliche contenute nella Punica Granatum gli Autori hanno potuto dimostrare che il suo succo ha un’azione preventiva nei confronti dell’insorgenza dell’arterosclerosi.
Uno studio dell’Università di Napoli e di Los Angeles ha scoperto che mette fuori combattimento due geni (Elk-1 e p-Jun) che permettono la formazione delle placche nelle arterie, le stesse placche che possono ostruire i vasi sanguigni.
Studi più recenti hanno dimostrato che il succo del melograno e l’olio ricavato dai semi possiedono un potere antiossidante paragonabile a quello del BHT (dell’idrossianisolo butilato) e del thè verde.
L’acido ellagico interagisce infatti su alcune reazioni chimiche del metabolismo cellulare chiamate in causa nello sviluppo del tumore.
Gli studi israeliani tenutisi negli anni ’90 hanno evidenziato queste proprietà prima insospettate e quindi in questo ultimo decennio il melograno è stato oggetto di studio e contemporaneamente di un enorme successo commerciale anche negli USA e più di recente in Europa, proprio perchè considerato un frutto potentemente benefico per la salute generale e attivo contro i processi di invecchiamento cellulare. In particolare si è evidenziato in vivo come il mix di composti del succo di melagrana prevenga i problemi cardiovascolari combattendo l’ipertensione, riducendo l’aggregazione piastrinica e l’ossidazione delle lipoproteine LDL e HDL. In altri studi sull’estratto del succo si è posta in rilievo l’attività antiproliferativa che agisce contro lo sviluppo di alcune linee cellulari tumorali. In particolare gli ellagitannini contrastano il processo aterosclerotico interagendo direttamente con le LDL impedendone l’ossidazione, inoltre evitano la perossidazione lipidica dei macrofagi che rispondono al processo infiammatorio dell’ossidazione delle LDL fagocitandole e pertanto si trasformano nelle pericolose cellule schiumose (foam cells) che contribuiscono alla crescita della placca aterosclerotica.
STUDI CLINICI
Le prime pubblicazioni di ricerche in merito all’Acido Ellagico, risalgono ai primi anni settanta, mentre i primi studi approfonditi risalgono agli anni novanta
BIBLIOGRAFIA
Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.
Drenaggio dei liquidi corporei – Funzionalità delle vie urinarie – Regolarità del transito intestinale
Ministero della Salute (decreto 9 luglio 2012, aggiornato con decreto 27 Marzo 2014)
Il Boldo è una pianta sempreverde originaria del Cile e del Perù appartenente all’ordine delle Laurales.
Nella medicina tradizionale le foglie di Boldo sono state usate come carminativo (riducente la formazione di gas intestinali e favorente l’eliminazione degli stessi) e per trattare molteplici patologie a carico della prostata e della vescica (1, 2). Gli estratti di foglie di Boldo svolgono azione diuretica e coleretica (3). Il più importante alcaloide isochinilinico contenuto sia nelle foglie che nella corteccia della pianta stessa è la Boldina (5), sostanza ad attività antiossidante (4,5,6,7). L’olio essenziale che si ottiene dalla pianta possiede attività antimicrobica (8) e diuretiche. L’attività coleretica è stata attribuita ai flavonoidi e agli alcaloidi. e contiene composti monoterpenici come il limonene, il p-cimene, l’a-pinene e il beta-fellandrene (8,9).
In fitoterapia il Boldo è utile per il miglioramento delle funzionalità delle vie urinarie, per il trattamento di lievi disfunzioni epatobiliari, nella cura sintomatica dei disturbi dispeptici e come coadiuvante nel trattamento della stipsi (3, 11). Il boldo esplica attività epatoprotettiva sia in vitro che in vivo, mentre la boldina riduce la lipoperossidazione lipidica negli epatociti isolati.
Le proprietà spasmolitiche del boldo e della boldina sono state documentate in vitro adoperando l’ileo di ratto. Il boldo viene consigliato dalla Commissione E tedesca per il trattamento della dispepsia e per i disturbi spastici del tratto gastrointestinale. Il boldo è un componente di diverse formulazioni adoperate nel trattamento della dispepsia, nei casi di crampi addominali, costipazione e disturbi epatici.
Il boldo è una droga sicura; estratti acquosi di boldo sono pressoché privi di tossicità fino alla dose di 3 g/kg negli animali. Da ricordare tuttavia che l’olio essenziale di boldo è ritenuto tra i più tossici. L’applicazione di olio non diluito esercita infatti un effetto irritante per la presenza di sostanze terpeniche (per es. 4-terpinenolo).
Gli effetti della boldina sul sistema cardiovascolare sono caratterizzati da inibizione dell’aggregazione piastrinica e vasodilatazione (15). Sono stati osservati anche effetti anti-infiammatori e antipiretici dovuti a inibizione della sintesi delle prostaglandine (16). La boldina ha mostrato di possedere attività anche sul sistema nervoso sia periferico che centrale. Sul sistema nervoso periferico agisce da bloccante neuromuscolare, apparentemente attraverso una interazione diretta con i recettori colinergici post-sinaptici di tipo nicotinico (19). Gli effetti sul sistema nervoso periferico sono alla base dell’effetto antispasmodico del Boldo (20).
Una sostanza di natura Alcaloidea estratta dalla pianta del Boldo è la Dimetossi-Diidrossi-Aporfina.
BOLDINA (principale alcaloide estratto dal Boldo)
Nella medicina tradizionale la pianta del Boldo è stata sempre utilizzata per i suoi effetti coleretici e colagoghi e per facilitare le funzioni di eliminazione renale e digestiva. Al Boldo sono anche inoltre attribuite proprietà diuretiche e sedative del sistema nervoso. La Boldina, principale alcaloide isochinolinico estratto dal Boldo esercita un’azione elettiva sulla secrezione biliare e in particolare sulla fluidificazione della bile, risulta infatti capace di modificarne le caratteristiche chimico-fisiche, diminuendone la densità e la viscosità e aumentando il contenuto acquoso (Benigni R., Capra C., Cattorini P.E., op. cit., p.160). Ricerche eseguite su cavia hanno messo in evidenza un’azione colecistonicetica: tale azione compare anche a bassi dosaggi, compatibili con quelli tradizionalmente impiegati in terapia, mentre l’effetto coleretico compare solo per posologie elevate. L’aumento della secrezione appare netto ma di breve durata. La boldina possiede a livello del tubo gastroenterico un’azione antispasmodica (Rombi cit.p. 40). Dal momento si è stato accertato che durante la preparazione dell’estratto il contenuto di boldina può andare perduto, per esser sicuri dell’effettivo quantitativo introdotto, è fondamentale assumere integratori/fitofarmaci che utilizzano preparazioni titolate (RENALIT COMBI ed il RENALIT-COMBI COLIC contengono es. di Boldo tit. 0.05% in Boldina)
Interessante: Nel paese di origine della pianta (Cile), il Boldo rappresenta un rimedio popolare per la cura delle affezioni epatiche e delle vie urinarie. E’ stato segnalato inoltre che le capre che pascolano le foglie di Boldo sono esenti da affezioni epatiche.
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Quanto proposto è ad esclusivo scopo informativo e non sostituisce il medico a cui bisogna rivolgersi per i problemi relativi alla salute.